mercoledì 30 dicembre 2009

Cyrano...?

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Amai senza peccato, amai ma ero triste.
Quella mattina il sole brillava alto in cielo ed io mi stesi sui sottili fili d’erba perso nei miei ultimi pensieri leggeri e fluttuanti, con la sigaretta che veloce bruciava nella mano sinistra, accarezzandola.
Le scrissi un’ultima poesia su una ruvida carta di riso bianca. Le raccontai del mistero e della dolcezza dei suoi occhi, del suo sorriso seducente, delle sue labbra di rosa sempre lucide, della sua anima profonda e del suo essere inafferrabile. La lasciai dove avrebbe potuto trovarla, in una scatola con un nastro rosso. Poi mi avviai verso quel luogo, verso l’inesorabile fine.
Su di me il cielo immenso ed azzurro, libero. Sulla mia pelle il vento fresco. Nel mio cuore la leggerezza. Attorno gli slanciati cipressi e tutti quanti avrei raggiunto ben presto.
Nella destra stringevo una sinuosa ampollina, poggiandola sul cuore. Aspettai. Attesi scaldato dai raggi del sole mentre i miei occhi erano persi nell’infinito di quell’azzurro senza nuvole. Sorridendo ad ogni sua impalpabile immagine. Godendo di ogni istante passato al suo fianco.
La testa incominciò a girare leggermente. Il cuore a battere freneticamente. Gli occhi volevano chiudersi ma non lo permisi, di quel mondo volevo assaporare ancora i colori. Di quel mondo inspirai ancora gli odori di terra e di erba bagnata, dei fiori che mi circondavano.
Poi fu come fluttuare tra due mondi, su un incerto confine, come altalenare su un sottile filo sospeso sull’infinito. Un brivido gelido attraversò il mio corpo. Sentii tremare le mani, le gambe, i piedi, persino i denti. Avvertii l’incapacità del movimento e della parola. Una sensazione di profondo vuoto mi invase ma non fu sufficiente a costringermi ad arrendermi a coprire i miei specchi sul mondo. Forse solo per un secondo cedetti stanco per quell’enorme sforzo. Ma non vidi più il suo volto e così riaprii gli occhi per poterli fissare ancora nei suoi che mi guardavano dall’alto di quel soffitto limpido, cambiando continuamente il loro colore con le mille sfumature della luce intensa. Il vento spirò più forte e udii un tintinnio conosciuto a cui ho spesso affidato la mia anima tormentata per quietarla.
Non sentii più nulla. Sparirono gli odori. Sparì il dolore. Sparirono i colori. Sparirono i suoni. Si dissolse la tristezza, confluendo in un sentimento d’infinito in cui non si distinguevano più le emozioni umane. Mi parve di aver raggiunto un livello superiore, una sorta di pienezza celestiale mi rapì nel buio di una notte che sapevo senza fine.
Tagliai da solo il mio filo perché non trovavo ragione di continuare a tesserlo se, com’era, mi fosse preclusa la possibilità di intrecciarlo col suo. Nel mio cuore e nella mia mente ritrovavo un lungo e variopinto filo intrecciato di gioie e dolori che non ero disposto a veder scolorire nel grigiume della mia ombra solitaria.”


“…” E passò oltre.

17 marzo 12.09

martedì 29 dicembre 2009

Quiete...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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L’erba era soffice e d’un verde brillante. Il sole splendeva alto e sul selciato le foglie secche crepitavano al suo passaggio. Tranquilla, diretta verso quella lunga schiera di pietre levigate ed incise, con la testa sgombra da ogni pensiero, sembrava lasciarsi trasportare dal leggero vento di un autunno appena iniziato.
Arrivò al cospetto di quella lastra candida che rifletteva l’intensa luce che il cielo, clemente, donava ogni anno in quel giorno, posò lo sguardo rapido su versi incisi nella pietra:


Voglio però ricordarti com'eri
pensare che ancora vivi
voglio pensare che ancora mi ascolti
e che come allora sorridi.

sentendola improvvisamente più vicina.
Portò all’orecchio sinistro una cuffietta e fu immediatamente catturata dal ritmo di quella vecchia canzone scritta per un’amica perduta. Si sedette di fronte a lei, fissando il suo nome scolpito a chiare lettere nere, fissando quella piccola stella e quella pesante croce più sotto, fissando il vuoto lasciato dalla sua volontà di non mostrarsi più.
“Ciao. Sono tornata anche quest’anno. Ho i tuoi fiori, i tuoi crisantemi gialli e bianchi.” Sorrise socchiudendo gli occhi come se non volesse credere a quello che stava accadendo, a ciò che stava per dire. “Me l’hai spiegata tante volte in vita questa tua passione per i fiori da morta, tu che morta non sei mai stata. Ed ora, ora io li poggio su una lapide fredda con cui parlo e da cui non ricevo mai risposta, ma con cui continuo a parlare quasi sperando che tu possa sentirmi. Come fossi in un qualche angolo remoto dell’universo, buio o assolato, pieno o vuoto, caotico o silenzioso, e la mia voce potesse arrivarti in qualche modo. Come se sperassi di raggiungere anche io lo stesso luogo in cui ti trovi tu, prima o poi, per ricevere tutte le risposte alle mille domande che ti pongo ogni anno in questa data.” Sorrise ancora, come se stesse per fare la spiritosa, con gli occhi che le brillavano. “Dimmi, questi crisantemi ora hanno ancora lo stesso significato? Ora che non puoi sentirne l’odore, ora che non puoi dimostrare più quanto sei vera, ora che non puoi più gioire, ora che non puoi più illuminarmi coi tuoi sorrisi e le tue parole sagge, ora, hanno ancora lo stesso senso? “ Rimase in silenzio per qualche secondo.
“C’è una donna vestita di nero che tiene per mano una bambina dai capelli rossi raccolti in due amabili treccine. Sono poco lontane da noi. Le ho viste in queste stesso giorno anche l’anno passato. Abbiamo qualcosa in comune probabilmente: in noi si è creato lo stesso incolmabile vuoto nello stesso giorno.” Fissò ancora per qualche istante quella madre chiusa nel suo dolore e quella figlia troppo piccola per capire a pieno cosa aveva perso forse in una notte buia e tempestosa. Buia e tempestosa tanto quanto quella che le strappò il cuore dal petto nel momento in cui, dopo quel terribile schianto, la vide al suo fianco, riversata sul volante insanguinato, esanime. Un brivido le risalì lungo la schiena, scese sulle braccia e sulle gambe.
“Scusa. Non ti sto raccontando cos’altro vedo. Come mio solito fissavo un punto guardando ben oltre questo.” Sospirò. “C’è un sole caldo oggi e un vento fresco. Non ho portato solo i tuoi fiori, sai? Ho portato anche il tiramisù, come ogni anno. Sopra c’è una candelina in più, ma forse già dal prossimo anno dovrò trovare un altro modo per portare questo conto: è troppo piccino per farle entrare tutte.” Sorrise e la immaginò risponderle con quel suo contagioso sorriso a mille denti. “Beh, comunque, hai dei nuovi vicini. Un bel ragazzo e un signore molto anziano. Un ramo spezzato ed una vecchia quercia. Chissà quanti cerchi si potevano contare su di loro. Forse per la quercia erano più che sufficienti. Ma il ramo spezzato… forse non aveva concluso che pochi giri, come te. Forse anche lui è stato colpito da un terribile ed inaspettato temporale.” Affondò il cucchiaino nel dolce e lo portò alla bocca, mandò giù il boccone e sorrise. “Buono! Anche quest’anno avresti apprezzato come un tempo!” Esordì puntando il cucchiaino verso la pietra bianca. “Divento sempre più brava, ma non è la stessa cosa senza te che rompi le uova in cucina e mi butti il cacao ovunque tranne che sul dolce!” Rise. Buttò gli occhi al cielo e sospirò come ad aspettare un segno. Un alito di vento più forte le scompigliò tutti i capelli. “Ti sei arrabbiata!?” Rise ancora. “Io dico la verità! Tu sei sempre stata una gran pasticc… iona! La pasticcera sono sempre stata io ed io sola!” Rise di nuovo di gusto. “Mi manchi. Tanto.” Gli occhi le si gonfiarono di lacrime ma continuava a sorridere serena. “Indietro non si torna, non si può. Questo treno viaggia solo in avanti per quanto io mi sforzi di desiderare che vada in direzione ostinata e contraria. Posso solo sperare di essermi sempre sbagliata, che un giorno io e te ci rincontreremo in un momento d’eternità, in un punto d’infinito. Posso solo sperare che tu possa ascoltarmi, che tu possa vedermi, che tu possa assaporare ancora la vita attraverso di me, anche se, forse, assaporare qualcosa che, probabilmente, ancora brami, sapendo che rimarrà per sempre solo un desiderio irrealizzabile, è un tormento atroce che non meriti.” Finì il suo dolce. Rimase lì seduta per lungo tempo, a parlare, a guardarsi attorno, a sorridere, a fissare l’orizzonte e quello che stava oltre questo. Poi si alzò, scrollò di dosso i fili di erba che si erano attaccati ai jeans stretti, allungò la mano sulla lapide bianca sfiorando, lettera per lettera, quel nome che non le era mai suonato mai così dolce come da quella terribile notte. “Voglio però ricordarti com'eri, pensare che ancora vivi, voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi.” Sorrise e si avviò verso il sentiero lastricato e poi il grande cancello che separava il mondo dei vivi da quello dei morti.


16 marzo 23.18

lunedì 28 dicembre 2009

CHIAR(i)-(e)-(a)MENT(i)-(i)-(e)

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Era notte. Il buio lo ricordo bene.”
“E’ stato questo per te?”
“Sì, era come se un mantello oscuro avesse ricoperto tutto e mi avesse depredata dei miei anni, dei miei pensieri e delle mie certezze. Come se mi fossi lasciata nutrire solo di inquietudine ed insicurezza. Sotto quel velo oscuro è rimasta la mia anima svuotata.”
“Ed ora?”
“Sei sempre tu. Tutti i miei sbagli. Ma tu non sai ammazzarmi e ricominciare.”
“Non desidero questo potere.”
“Io ho avuto questo potere.”
“Lo ricordo.”
“Sono stata anche io tutti i tuoi sbagli.”
“No. Io non trovo un rimpianto.”
“Tu non sei capace di rimpianti. Per averne bisognerebbe essere in grado di confrontarsi con se stessi. Tu sfuggi i tuoi occhi allo specchio più di quanto non sfuggi quelli altrui.”
“Il tuo potere te l’ho concesso io.”
“Anche io ti ho concesso di annientarmi. Lo abbiamo fatto reciprocamente.”
“Io non mi sento annientato. Io so di essere forte.”
“Non è forza l’incoscienza di sé.”
“Cosa vuoi dire?”
“No. No, non sarai mai al passo con le mie riflessioni.”
“Forza! Dimmi! Cosa non sono in grado di capire?! Vienimi incontro!”
“Non è cambiato nulla. Basta puntare alle tue mancanze e sottolineare le mie più spiccate attitudini all’introspezione per farti innervosire. E non ce n’è bisogno. Non più. Non abbiamo più sfide aperte io e te.”
“Non mi innervosisco per quello che dici ma per come lo dici! Sei un’arrogante presuntuosa.”
“E questo un tempo era sufficiente.”
“Per cosa?”
“Farmi amare.”
“Le cose cambiano.”
“Già. Sento.”
“Cosa?”
“I cambiamenti.”
“…”
“L’incoscienza di sé è la condizione in cui ti culli da sempre. Quel non volerti porre di fronte a te stesso per capire quali sono le frontiere della tua mente e della tua anima. Quali sono i cancelli che ti separano dal Mondo. L’incoscienza di sé è anche quella condizione per cui non reggi il confronto con gli altri. E’ la ragione per cui fuggi davanti ai problemi che coinvolgono due individualità distinte. E’ la ragione per cui scagli il sasso e ritiri la mano di continuo. E’ la ragione per cui preferisci celare la verità o, peggio, anche se, personalmente, non fa differenza, mentire piuttosto che avere il coraggio delle tue azioni. E’ la ragione che ti conduce nella più assoluta Malafede. Ed è anche la ragione che ti ha posto nella disagevole condizione di modellarti su di me per sentire l’Amore.”
“Non è incoscienza di sé. E’ un modo diverso di vivere.”
“Mettila così se preferisci.”
“Sai solo giudicare! Per te esiste un solo modo di vivere: il tuo!”
“Assolutamente! Non lo auguro a nessuno! Io vivo male. Ma è l’unico modo in cui so vivere.”
“Per te è tutto bianco o nero. Giusto o sbagliato.”
“No. Per me è tutto e il contrario di tutto. Se vivessi di Assoluto vivrei meglio. E’ nell’Indeterminatezza che brancolo invece. Non giudico mai perché non mi ritengo né in grado né degna di farlo. E, sinceramente, non ne ho neanche alcun interesse. Forse è chi punta il dito su di me che lo fa.”
“Allora, se non era un giudizio il tuo, cos’era?”
“Quello sull’incoscienza di te?”
“Sì.”
“Quello era un Giudizio!”
“Ah!”
“Esprimere un giudizio è cosa ben diversa dall’azione di Giudicare nel senso in cui lo intendi tu!”
“Sempre a filosofeggiare sulle parole!E…sentiamo!...Sarebbe?”
“Io ho espresso un giudizio sul tuo modo di comportarti dopo averti concesso diverso tempo per esprimere la tua personalità, ho costruito il mio giudizio su di te dopo lunghe osservazioni. Il mio si potrebbe definire un Kantiano “giudizio sintetico a posteriori” che non ha nulla a che fare con la Morale perché é assolutamente personale e non necessario. E’ solo il frutto di un’intima conoscenza con la tua persona. Senza pretese di Giudizio Morale, che è invece il senso in cui tu intendi l’azione di Giudicare.”
“Il tuo giudizio è sbagliato.”
“In cosa credi che io sbagli?”
“In quello che dici.”
“Sì, questo l’ho intuito dal momento che mi pare difficile che tu possa non condividere un pensiero che non ho ancora espresso.”
“…”
“Sai che questo è la riprova della correttezza del mio Giudizio, invece?”
“Cioè?Cosa?”
“Mi hai detto che ho sbagliato il mio Giudizio. Ti ho chiesto in cosa. Mi hai risposto con la stessa affermazione da cui è partita la mia domanda. Ancora una volta non hai il coraggio di dire. Ancora una volta non hai il coraggio di affrontarmi. Ancora una volta il nostro è un finto confronto. Unidirezionale.”
“…”
“Tutte le volte che non sai a cosa aggrapparti scuoti la testa. Io ho diversi punti fermi nella mia mente, frutto di numerose riflessioni. Se ti confrontassi con te stesso avresti anche tu qualche chiodo puntato sul muro della tua coscienza.”
“Tu sei insopportabile quando fai così.”
“Tu sei tutti i miei sbagli. Ma non sai ammazzarmi e ricominciare. Però hai saputo difendermi e farmi male. Peccato che fossero azioni contemporanee.”
“Io non trovo un rimpianto.”
“Io non li ho neanche cercati.”
“Ma se hai detto all’inizio che…”
“No, io non riesco ad arrendermi a tutti i miei sbagli. Loro sono lì. Ogni giorno. Ma senza rimpianti. Fanno parte di me. Io sono stata anche tanti sbagli. Tu ed io siamo stati una cosa sola. Uno sbaglio.”
“E questo non è un rimpianto?”
“No, questo è un altro Giudizio.”


07 febbraio 2009 0.54

domenica 27 dicembre 2009

When the sun goes down...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Seduta davanti la tela bianca aspettava di riversarle addosso le sue emozioni vivacemente colorate. In una fresca mattina di Gennaio, sull’enorme terrazzo su cui affacciava il monolocale in cui viveva, le foglie e i petali delle mille piante e fiori che lo riempivano brillavano sotto i raggi del sole. Da quell’altezza dominava tutta la città e questo la faceva sentire potente, in qualche assurdo modo che non si riusciva a spiegare. Quei giardini verdi con deboli accenni di colore li sentiva suoi per il solo fatto di poterli vedere ogni giorno, per il solo fatto che in una stagione vedeva crescere i rami potati o li vedeva ripopolarsi di foglie o fiori o frutti. Chiuse gli occhi e respirò l’aria frizzante che la circondava. Poi si alzò, si diresse verso la porta del terrazzo, sotto la tettoia di legno, accese lo stereo che per ore risuonò nell’aria e in strada la stessa canzone. Tornò a sedersi davanti la tela. Calma e serena prese un pennello nero sottile e lo intinse nella tempera. Aveva lo spirito completamente libero da ogni pensiero ed era schiava solo della sua libertà di pensare e di agire in quel preciso momento.

Entrò nel locale affollato e si guardò intorno: tra le luci fioche vide una gran folla accalcata davanti al bancone che la fece desistere dal desiderio di mandar giù subito un Mojito, continuando ad esplorare l’ambiente, ferma dov’era, notò un gruppo di persone ai tavoli che non aveva alcuna voglia di salutare, intravide qualcuno che ballava nell’altra sala, spalla a spalla, appiccicati, salendo e scendendo sulle gambe, si accorse di una coppia sul divano rosso dall’altra parte del locale che, accesa di passione, sembrava non considerare il resto del mondo attorno e poi, tornando con lo sguardo al bancone, vide lui. I loro sguardi, con gli occhi quasi dello stesso colore, non si incrociavano da tantissimo tempo. Non si sorrisero. Si diressero l’uno verso l’altro. Senza emozioni. La canzone che suonava in quel momento aveva spazzato via tutti i suoi pensieri e per il resto della serata fu l’unica che sentì, nonostante ne fossero passate molte altre. Si salutarono. Parlarono, ma non lo fecero seriamente. Fu uno scambio di parole piuttosto, sarebbero potute anche essere parole a caso, il senso di quello scambio verbale sarebbe stato il medesimo. Si diressero al bancone e, aspettando di ordinare, continuarono ancora quello scambio di frasi dette e non dette, quello scambio di idee da censurare,reinventare ed esprimere in quella nuova definitiva forma, quello scambio di parole che mascherano intenzioni diverse e di quelle parole trattenute che non ne espongono altre palesi, quello scambio di domande a cui l’altro, volutamente, non rispondeva se non con una domanda completamente diversa. Agguantati i bicchieri si spostarono ai tavoli. Scelsero uno di quei tavoli con i comodi divanetti rossi dal particolare design, come un’onda morbida capace di inghiottire e cullare i suoi ospiti. In un angolo, vicino una lampada con il paralume a punta lucido e rosso, il colore dominante in tutto il locale. Difficile definire di cosa parlarono, difficile dire con certezza anche se parlarono, tralasciando quel loro inutile scambio di parole. In ogni caso quello che succedeva doveva in qualche modo divertirli e li metteva a loro agio. Lui giocava coi suoi capelli e lei stendeva le gambe sulle sue. Fu l’alcol, furono le risate, forse, si guardarono. A tratti studiandosi, a tratti indifferentemente. In ogni caso con uno scopo.
E lei lo guardò di nuovo, questa volta sollevando il sopracciglio sinistro ed ammiccando con un sorriso a labbra serrate che seguiva la stessa linea di quell’arco che le incorniciava lo sguardo. Lo guardò dall’alto della posizione di potere che le aveva, momentaneamente, permesso di assumere quell’innocente gioco perverso che avevano iniziato nel pieno della notte mentre lui faceva scivolare le mani sui suoi fianchi. Ed intanto la stanza continuava a riempirsi di quella stessa musica.
Fu presto mattina, in testa ancora quella canzone, svegliata dal sole penetrato attraverso le tende. Aveva voglia di dipingere.


28 Gennaio 2009 22.51

sabato 26 dicembre 2009

Shooting Star...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Entrai nell’immenso salone illuminato solo dalle luci fioche di un candelabro dal sapore antico. Era lì, seduta ad accarezzare i grandi tasti neri ed avorio del pianoforte a coda, unico arredo di quella stanza buia, ed una dolce melodia s’insinuava, attraverso la mia pelle avvinta dai brividi, nell’anima. Indossava un lungo vestito dorato leggero ed appariva così eterea con la pelle candida ed i boccoli biondi che le ricadevano morbidi sulle spalle che avrei tratto piacere nel guardarla per secoli. Ma ero lì per una ragione. Mi diressi verso di lei cercandone lo sguardo, desiderando ardentemente di incontrare quegli occhi nocciola dal lungo taglio, incorniciati da una precisa linea nera che si estendeva oltre le sue lunghe ciglia. Mi avvicinai e le tesi la mano. Non distolse lo sguardo dalle note colorate che dipingeva con la fantasia. Rimasi con la mano tesa ad aspettare. La melodia si faceva sempre più frenetica, potrei giurare di aver sentito anche altri strumenti in quella stanza vuota. Chitarre elettriche. Poi, d’improvviso, sollevò le mani affusolate dal pianoforte e si voltò, finalmente, verso di me. Mi fissò. Non saprò mai dire cosa volesse significare quello sguardo, forse amore, forse odio. Mi porse la sua mano ed averla stretta nella mia dopo tanto tempo mi provocò un’emozione tanto forte da sembrare che potesse fermarmi il cuore. Avidamente l’alzai e la tirai verso di me per stringerla e poter, nuovamente, socchiudere le mie labbra sulle sue. Quell’istante mi sembrò eterno. Il momento in cui, finalmente, dopo così tanto tempo, il suo cuore avrebbe battuto di nuovo accanto al mio, sembrò non arrivare mai.
E non arrivò mai.
Si divincolò dalla mia presa d’amore e, d’un balzo, fu al centro del salone ed un bagliore improvviso accese la stanza. La carta da parati vinaccio d’oro decorata si dissolse tra i fasci luminosi che s’irradiavano dai gigli dorati. Le grandi finestre di legno scuro di spalancarono come se un potentissimo e sconosciuto vento gelido avesse bussato troppo veementemente sui vetri decorati. Lei continuava a fissarmi, distante, con il viso rivolto verso il basso e gli occhi infiammati d’ira. Ed attorno il chiarore aumentava ed ebbi la sensazione che sopra le nostre teste non vi fosse più l’aureo soffitto a cassettoni ma lo scuro cielo notturno, senza luna. Ed il pianoforte suonava ancora, con ritmo crescente, al crescere dell’intensità di quella luce che, ora capisco, sprigionava ella stessa, alimentata dall’immenso amore che era capace di provare e di cui voleva liberarsi.
Ed infine, continuando a fissarmi, con voce gelida mi disse:
“Guardami! Sono come una stella cadente ora, posso spegnermi nell’atmosfera e tu non mi vedrai più. Posso sparire come una stella cadente, dietro l’orizzonte. Ma porterò la stessa oscurità di una notte senza stelle e senza luna quando mi sarò dissolta.”

E sparì nella luce piena non senza prima avermi spiegato le sue ragioni, cantando:

“You're just too good to lose
and I can't refuse
so don't make me choose
between the two
I'm fed up in here
in my atmosphere
Don't you know who you are
You're my shooting star”


17 gennaio 2009 0.30

venerdì 25 dicembre 2009

L'Arte della Verità

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Fu quando la guardai negli occhi che ebbi davvero il coraggio di mentirle. La ringrazio per avermene concessa l’opportunità, non mi sarebbe riuscito altrettanto bene se avesse spostato lo sguardo altrove. Non sentii necessità di raccogliere tutte le mie forze per ingannarla come, ormai da diverse settimane, mi riusciva bene. Fu tutto molto spontaneo e naturale: spalancai gli occhi così che apparissero grandi e profondi ma, soprattutto, sinceri. Le dissi quello che, sono sicuro conoscendola, voleva sentirsi dire: una “non-verità”. Lo feci quasi con trasporto. La dissi con sincerità. Una sincerità che non albergava in me da tempo verso di lei. Una sincerità che volevo, e voglio, destinare solo alla mia nuova Alba, ora l’unica che conti per me, l’unica che mi possa capire davvero, l’unica che mi è stata realmente vicina in quel lungo mese di confusione.
Non chiamerei la mia “menzogna”, piuttosto “non-verità”, ve l’ho già detto. Preferisco quest’appellativo, sì. E lo diceva anche il buon vecchio Calvino, che tanto stimo, “la menzogna non è nel discorso, è nelle cose”. Ora, nelle mie azioni non vi è stata menzogna, al massimo vi è stata omissione, ma non di certo menzogna. Ho, più correttamente, omesso il vero. Lo preferisco perché rende meglio le mie intenzioni. Io sono un buono, un devoto all’etica, mi fregio di sapere qual è, sempre, la giusta via da seguire, anche in quel caso. Una “non-verità” è un modo come un altro per risparmiare sofferenze inutili. Non chiamatela “menzogna”, mi sentirei offeso, sentirei che non avete compreso il mio buon operato. Una “non-verità” permette di vivere bene con coloro che si ingannano ma, soprattutto, fa vivere bene loro, li alleggerisce di preoccupazioni e crucci taglienti come fendenti, quella tipica ed indesiderata reazione che produce la Verità, e, poi, ma, credetemi, di minore importanza, permette di vivere bene con se stessi: compiaciuti dell’atto pienamente morale che si è appena compiuto. In fondo, però, è questo che conta: vivere bene con se stessi, essere convinti di non poter rimproverarsi nulla, di aver agito in modo corretto. Conta poco se l’altro scoprirà la verità della nostra “non-verità”, sarà già sufficientemente lontano per non importunarci più con le sue domande o, peggio, col suo disprezzo verso la nostra persona.
La Verità, mi sono già espresso, produce indesiderati effetti collaterali che è nostro obbligo evitare d’infliggere agli altri, soprattutto quando si tiene a loro come io tenevo a lei. Credetemi, l’ho fatto per lei, assolutamente non per me. Sarebbe stato egoistico da parte mia rifugiarmi nella mia “non-verità” col solo scopo di proteggere me stesso e celare, dietro questa, un’eventuale, del tutto ipotetica, mancanza di coraggio da parte mia. Non sono un vile. Non sono affatto un codardo. Sono un animo nobile che crede nell’Arte della Verità.
L’Arte della Verità consiste nell’apparire sinceri offrendo al nostro interlocutore una, certamente più gradita, “non-verità” che potrà proteggerlo dallo sgradito senso di completezza che offre una banale Verità. Quel molesto sentimento di pace interiore che regala agli altri la nostra Verità, anche la più orribile, ho voluto risparmiarglielo proprio in virtù del grande amore che ho provato per lei in tempi passati, ma neanche troppo.
Ho trovato di gran lunga più corretto nascondere la Verità.


05 gennaio 2009 21.37

giovedì 24 dicembre 2009

Miracolo di Natale

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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L’orologio del Campanile rintoccava la Mezzanotte. Nella stanza profumata di bucce di mandarini essiccate sulla stufa, illuminata dalle luci fioche di un camino e di una vecchia lampada ad olio poggiata sul tavolino accanto a lui, addobbata da agrifogli, vischio, biancospini e pungitopi, era immobile ed assorto nei suoi pensieri come se, da troppi anni, non avesse avuto un solo secondo per fermare quel suo incessante camminare lungo il sentiero della vita, sedere sulla sua poltrona di velluto bordeaux al centro dell’immenso salone al primo piano di quell’elegante villa vittoriana e riflettere. Era solo. Aveva lasciato da poco quel suo affollato ed amato posto di lavoro, eppure, questa volta, diversamente da tutte le altre giornate della sua lunga vita, non aveva portato con sé alcuna di quelle voci, alcuna di quelle richieste, alcuno di quei problemi, alcuno di quei sorrisi, alcuno di quei ringraziamenti. Per la prima volta, dopo anni, aveva tempo di occuparsi di sé. Ben presto, osservando la legna scoppiettante, si accorse di averne anche voglia. Quella che gli era mancata per quasi un lustro.
Dalla propria vita aveva ricevuto ogni genere di soddisfazione. Aveva amato. Aveva lavorato. Aveva aiutato. Aveva accumulato molte ricchezze, soprattutto interiori. Poteva sedere ogni sera davanti al camino fumando la sua pipa, come quella notte. Eppure, vi era qualcosa di diverso nell’aria, e non era solo il Natale che bussava alle porte. Aveva sempre prestato servizio il giorno di Natale in quei lunghi decenni, era il primo anno in cui riposava, apparentemente senza una particolare ragione. La pipa che, solitamente, teneva lassamente nella mano sinistra, in quella notte, era stretta così forte da sembrare il suo ultimo appiglio per non cadere nell’ignoto che, sapeva, l’avrebbe atteso di lì a poco, ma non una sola boccata le fu concessa. Era immobile, con gli occhi scuri fissi sul fuoco vivo, e di colpo sentì il vuoto dentro. Non fu affatto una sensazione spiacevole. Fu come fare un salto nel passato e nel futuro al tempo stesso. Tutta la sua vita gli scorse davanti agli occhi e qualcosa in particolare catturò la sua attenzione: l’istante in cui avrebbe potuto cambiarne il corso. Si era palesato nella Notte di Natale di molti anni dopo, come una beffa. Nel periodo in cui i nostri cuori sono più fragili, più disposti all’apertura, più sensibili ai colpi del Destino, questo ineffabile misterioso, aveva colpito. E, per la prima volta, dopo anni, sentì ricadere su di sé il peso della sua età, il peso della sua passione, il peso della sua non ammessa stanchezza. Ebbe paura solo in quel momento. Si sentì turbato dalla consapevolezza della sua condizione. Ebbe terrore di non riuscire più ad essere lo stesso da quel momento in poi, allora che, inaspettatamente, la Vita aveva presentato il conto. Un uomo vecchio e solo, animato, nella sua vita, da tanta passione per il suo lavoro, ma senza alcuno al fianco per poterla condividere realmente e profondamente. Aveva perso quell’unico Vero Amico anni prima. La poltrona vittoriana che si trovava di fronte la sua era vuota da decenni, e, di colpo, ricordò l’esatto momento in cui, fumare la pipa, perse piacere e divenne, come ogni sera seduto davanti al camino, un modo per non pensare, un modo per non affrontare la realtà, un modo per fuggirla un giorno ancora, consapevole, nell’intimo, di quanta fatica servisse per guardarsi dentro. Fu quando quella dell’altro si spense.

24 dicembre 2008 15.12

venerdì 18 dicembre 2009

L'isola...

"La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Calava il sole, l’ultimo della sua estate, dietro quell’ambrata distesa d’acqua, e i suoi raggi si riflettevano in quello specchio lucente, su quegli scogli così vicini alla riva, sulla roccia di tufo bianco, sulla pelle sua dorata. Incantata da uno spettacolo senza tempo, sola in mezzo ai suoi amici più cari, rapita dai suoi pensieri col sorriso più sereno che avesse mai esibito dipinto in volto. I suoi ricordi di bambina s’intrecciavano con quelli che le aveva regalato quella lunga stagione estiva, scanditi dalle percussioni del bongo rosso ed ocra. La spensieratezza giovanile, i piccoli drammi consumati in qualche sera d’agosto, la gioia e l’allegria che invadono l’anima quando si risolvono, il timore che assale quando si sta per assaporare la novità, la scarica di adrenalina che risale nelle vene quando la si é provata, il silenzio ovattato del fondo del mare, i suoi colori brillanti, la caccia ai ricci di mare, gli esperimenti culinari in mini-cucine affacciate sul mare, il giro in barca e le mille foto di quei volti sorridenti, arrossati ed abbronzati. La memoria che torna lucida quando si percorrono gli stessi vicoli della propria infanzia tanto che, se si abbassa lo sguardo sui gradoni di pietra, si possono vedere ai propri piedi i sandaletti di gomma morbida colorata che amava comprare la mamma, tanto che se si passa davanti quella vecchia rosticceria si rivede quel bambino col caschetto biondo a cui il cane ruba il cosciotto di pollo dalle manine tutte unte d’olio, tanto che si sente sulla pelle lo stesso brivido liberato dalla brezza che irrompe dalla finestra della propria camera mentre si è stesi ed immersi nella lettura di un buon vecchio Calvino, tanto lucida da poter riconoscere lo stesso odore di Porto che si sentiva quella volta sul balcone di casa mentre era persa a fantasticare sui mille mondi e realtà affollati in quell’unico scalo, rannicchiata in un angolo.
E tutti intorno ad un cerchio illuminato dal fuoco, in spiaggia, era già sera. I suoi pensieri l’avevano accompagnata durante il tramonto, si destò come da un sogno sentendosi chiamare con quel nomignolo, volse piano il viso verso di loro, aspettò ancora un attimo prima di alzarsi e raggiungerli. Respirò ancora una volta, da sola, il profumo del suo mare e l’incanto dei suoi ricordi. Si voltò alla sua destra, seguendo con lo sguardo l'insenatura di quella spiaggia a mezza luna, accanto a lei trovò una conchiglia bianca e rosa, spiaggiatasi durante il suo tour nei cortili assolati dell'anima, la portò all’orecchio, udì lo scroscio delle onde che si infrangono sul bagnasciuga.
Si alzò da quei ciottoli chiari su cui era seduta e raggiunse il suo presente, e c’erano già canzoni stonate, chitarre scordate, calde risate. Non poteva desiderare altro né, tantomeno, di essere altrove mentre l’invidiosa spuma delle onde del mare tentava di insinuarsi nel loro intimo, fraterno, ed affettuoso cerchio.

16 novembre 2008 15.30

mercoledì 16 dicembre 2009

How to save a life

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Ed era come sentirla vicina, come se camminasse accanto a loro che, tristi, si trascinavano lungo quelle larghe scale di pietra e poi lungo quel sentiero, con gli sguardi fissi su quel legno chiaro che li precedeva.
Ed ogni passo portava con sé il peso di quella assenza. Ed ogni lacrima scendeva per un ricordo, una per quella risata a bocca aperta, una per quegli occhi gialli capaci di folgorare, una per la chioma luminosa come il sole di primavera che insinua i suoi raggi nella stanza e la rallegra, una per quella foto in bianco e nero che si trovavano davanti, una per quelle parole spesso senza freno, una per quella volta che ce l’avrebbero voluta mandare, una per quella volta che l’avrebbero voluta abbracciare, una per quella volta che…
Ed il sole stava lì, alto, quasi a rendere omaggio ad una stella spentasi troppo presto ed il verde ed i fiori che li circondavano incorniciavano i ricordi.
Erano giunti al capolinea. Il viaggio finiva lì. Il legno chiaro in terra. Loro in piedi, in silenzio. D’improvviso, una musica riempì l’atmosfera. How to save a life. How to save a life? E nel cuore di ciascuno s’impose quella domanda. Ognuno guardò alla propria destra e poi alla propria sinistra, in cerca di una risposta. Quelli che sapevano dove cercare, però, rivolsero lo sguardo anche davanti. Videro lei. Quel sorriso caldo e quegli occhi fiduciosi.
“Hai già salvato la mia di vita. Non hai bisogno di porti ancora questa domanda. Mi hai abbracciata quando ne avevo bisogno, mi hai permesso di aiutarti quando ho potuto, hai sorriso e riso con me, hai ballato con me, ti sei confidato con me. Adesso continuerò a vivere in te; finché mi porterai nel tuo cuore avrò vita e vedrò il sole, i fiori, il mare…”
Ognuno smise di piangere per conservare i ricordi nel proprio intimo come rifugio dalla tristezza e dall’assenza, come soffio di Vita per lei. La guardarono sorridere e ricambiarono con gli occhi colmi di quelle lacrime che ancora non si rassegnavano a non dover scendere. Lei, nella sua inconsistenza di pura Anima, sentì l’Amore che erompeva dai loro cuori; fu come linfa. Sparì, confondendosi col bianco del marmo, lasciando tutti con l’espressione più serena che le avessero vista dipinta in volto.
Tutt’attorno il verde si accese di nuova speranza, i fiori di mille colori si tinsero con nuove sfumature, e la fiamma di quelle paffute candele gialle che circondavano quel legno chiaro fu rinvigorita da un vitale alito di vento.
La salutarono ognuno con un fiore di colore diverso, perché era stata tanto complicata in vita da non poter riassumere quella tumultuosa esistenza con un solo colore ed un solo significato; e quell'unico girasole fu posato sul legno chiaro. Sapevano quello che desiderava, era stata circondata dalle persone amate che le leggevano nell’anima come fosse costituita di acqua limpida.
Rivolsero un ultimo sguardo dove era apparsa così eterea e serena, sembrò loro di rivedere ancora, per un’ultima volta, quegli occhi e quel sorriso. Un ultimo sguardo alla sua nuova casa, un gran respiro, e poi ognuno si avviò per la sua strada. Si allontanarono percorrendo il sentiero di ciottoli come se mancasse loro qualcosa, poi, d’improvviso, un nuovo e fresco alito di vento sembrò abbracciarli. Bloccati da questa insolita sensazione si voltarono un’ultima volta. Non la videro più. Ripresero ognuno il proprio cammino ma avvertirono un misterioso, eppure conosciuto, calore. Non sarebbero più stati soli.

06 ottobre 2008 11.59

martedì 15 dicembre 2009

Luci ed ombre.

I miei occhi hanno visto lo spumoso mare di quest’impervia isola inghiottire vascelli e vascelli carichi di oro, pietre preziose e spezie. Queste mie finestre sul mondo mi hanno permesso, anche, d’altro canto, di ammirare il mare sereno che bagna la nostra amata assolata isola, ed è grazie a loro che ho potuto vivere a pieno la, via via sempre più intensa, vita commerciale di questa piccola terra sperduta nell’enorme distesa d’acqua salata che ci circonda. Ogni mattina, svegliandomi all’alba, col sapore di mare nei polmoni, scendevo fino al porticciolo ed ero pronto a scambiar le merci con monete d’oro! Ogni mattina, dopo le estenuanti compravendite e il faticoso scarico delle merci, attraversavo la piazza per regalarmi il momento più bello della giornata, qui, ogni mattina,i miei occhi incrociavano i suoi che mi attendevano sempre dietro la stessa finestra. E’grazie a questi miei occhi neri che ho potuto ammirare un volto così delicatamente bello ed etereo, ho potuto rimirare la vera Grazia nella sua pelle chiara come la luna, luminosa come il sole, distesa e liscia come seta. E’ grazie a loro che ho potuto sognare l’attimo in cui sarebbe stata mia, solo e soltanto mia, stretta al mio petto in un caldo abbraccio, dopo esserci scambiati un tenero bacio, sotto i salici del bosco. E’ grazie a loro che ho potuto leggere la sua anima sfogliandola giorno dopo giorno.
Ma nulla è eterno in questa realtà, tutto è effimero, sfuggevole. In un giorno disgraziatissimo, in cui il nostro porto non ospitò i solito mercanti, sopraggiunse la cecità della mia anima. In un baleno fu ferro e fuoco. I miei occhi, così abituati a celebrare l’idillio,si trovarono di colpo ad imparare e a contemplare il dolore, le fiamme accecanti dell’odio, le violenze più atroci. A nulla valse la mia corsa disperata se non a stringere al mio petto, per un’ultima volta, il suo corpo esanime. Troppo doloroso ricordare i dettagli di quell’assalto. Troppo doloroso aver perso la luce dei miei occhi, senza neanche poterle essere vicino mentre si spegneva. Troppo doloroso aver assistito alle più disumane violenze. Riconsegnai al mare me stesso e una roccia, mi lasciai prima cullare dalle onde però, per insonorizzare con i flutti le tormentose urla del mio profondo. E adesso, adesso ho chiuso gli occhi per sempre.

29 agosto 2008 11.21

lunedì 14 dicembre 2009

L'angolo dei sogni.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Sfuma la stanza intorno, chiudo gli occhi e mi abbandono nell’abbraccio di Morfeo.
E’ notte in quell’angolo di strada, i fumi salgono dalle grate delle cucine seminterrate di quei ristoranti di quart’ordine, l’asfalto bagnato riflette la pallida luna che si affaccia tra gli squarci delle nubi, il cielo plumbeo, la strada desolata, tutto sembra consigliarti di bloccarti e fuggire in un posto sicuro. E’ notte, e come ogni notte, uno, due, tre colpi di pistola. Lontani. Sufficientemente lontani per non respirare l’odore di polvere da sparo e non vedere cadere a terra quell’uomo in giubbotto di pelle nera ucciso da un suo fratello.
Attraversata rapidamente quella piazza e superata quella piccola chiesa l’atmosfera cambia, il cielo minaccia ancora pioggia, ma tutto intorno ha un’aria più tranquilla. Raggiungi il solito angolo, tra l’ultimo vicolo che incute terrore e il negozio di giocattoli, nel corridoio quasi buio, illuminato solo dalla flebile luce di una vecchia lampada a muro. Alzi gli occhi che, fino a qual momento, avevi avuto cura di mantenere bassi per non crearti inimicizie e vedi lui. Arrivate sempre nello stesso momento! Ti prende la mano, ti accarezza dolcemente il viso con l’altra, scostando il cappuccio della pensante felpa che indossi, mentre ti preme contro il muro di mattoni rossi i suoi penetranti occhi scuri da bambino brillano, anche con questa luce fioca, e sembrano chiederti insistentemente un bacio… Inizia a scendere la pioggia, sottile sottile, poi sempre più pesante, ma non é abbastanza gelata per freddare le vostre anime e le labbra infuocate dall’amore. La notte, come ogni notte, è vostra in quell’angolo.


"Buongiorno…"
"Buongiorno…"
"E’ stato bello questa notte, nel solito angolo nel mondo dei sogni."


23 luglio
2008 14.35

giovedì 10 dicembre 2009

La quercia

"La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Ed è quando dall’arida terra alzi il pallido viso e punti quegli occhi di lucida ambra su di me che dentro si accende la più potente e calda fiamma, sulla pelle un brivido, nei polmoni, finalmente, aria fresca. L’aria che mi era mancata vedendoti chiusa in te stessa, abbattuta e rannicchiata su quella screpolata terra rossa, lì dove un tempo fiorivano i papaveri bianchi e le ginestre, lì dove quei mandorli davano sempre frutti e quella possente quercia cresceva rapida, lì dove adesso giace la calendula che avevi abbandonato tra le tue mani.
Immobile sulle tue gambe, preferirei vederti ballare ancora tra le mille e una rosa che ti avrei donato, ma anche così va già bene. Se ti tendessi la mia mano potremmo stringerci e danzare dolcemente insieme ancora una volta.
Ma adesso guardami con quegli occhi brillanti di lacrime rispedite alla mittente, guardami con quegli occhi disperati, guardami con quegli occhi illuminati dalle luci del tramonto, guardami con quegli occhi che vedono ancora la musica, guardami con quegli occhi che ti riscattano, guardami con quegli occhi accecati di rabbia. GRIDA!
In tutta la valle riecheggia quell’urlo che ti libererà. GRIDA ANCORA!
Sulle tue spalle rispuntano le ali. GRIDA PIU’ FORTE!
Infrangi quei muri di cristallo che ti separano dal mondo, GRIDA PIU’ FORTE CHE PUOI!
Tutt’attorno quei papaveri bianchi, quelle ginestre, quei mandorli e, di fronte a me, quella quercia! Di nuovo.
Quegli occhi che si fanno più chiari, quel viso che si rasserena, quelle nuvole all’orizzonte che scompaiono, questo prato di nuovo vivo.
E adesso corri da me! Inebriami di quel profumo vitale che avevi sempre addosso, permettimi di stringerti più forte che posso per un tempo infinito che al mio cuore apparirà sempre troppo breve, guardami dentro come solo tu sei stata capace di fare e amiamoci ancora.


"Grazie. Mi hai liberato l'anima."


22 luglio 2008 10.21

mercoledì 9 dicembre 2009

L'oceano in una scatola

E d’un baleno si ritrovò a guardare l’orizzonte dell’oceano, come se, sollevando quel coperchio, avesse spalancato una finestra sull’immensità. Eppure era lì, immobile, davanti al tavolo, con gli occhi fissi su quell’incantevole spettacolo, con la testa svuotata da ogni “Perché?” e le mani che reggevano saldamente il coperchio della variopinta scatola che quello strano viandante aveva insistito per donarle ripetendole all’infinito: “Custodisce i tuoi sogni e i tuoi segreti!” . Davanti ai suoi brillanti occhi ambrati le dorate luci del tramonto si riflettevano sull’acqua e accarezzavano, in lontananza, i già lucidi dorsi di quei delfini giocherelloni, le striature più chiare del cielo si specchiavano nelle leggere increspature dell’oceano, le piccole onde ricoprivano adagio il lungo bagnasciuga sul quale i gabbiani zampettavano curiosi affondando nella molle sabbia bagnata. Sentiva sulla pelle quella sottile fresca brezza oceanica che portava con sé quel piacevole profumo di sale, udiva il suono delle onde che tamponavano gli scogli e questa meravigliosa scena la rasserenava così tanto da farle dimenticare quanto singolare fosse quella situazione: l’oceano in una scatola.


08 luglio 2008 12.20

martedì 8 dicembre 2009

Canto d'estate.

Ed è quasi passato un altro giorno perso in pigrizia. Un altro giorno speso a chiedersi cosa ne sarà di te, un altro giorno a tendere il braccio nella speranza, sempre vana, che qualcuno lo afferri. Hai bisogno di risalire, sì, allora questa volta ci provo io a farti riaffiorare alla soglia di te stessa. Tu preparati solo per un viaggio. Non chiedermi quanto staremo via: il tempo non scorrerà in questo mondo. Della tua vita non perderai neanche un secondo in più di quanti non ne stai perdendo già, anzi, al termine del viaggio, forse, spero, il tuo tempo diverrà inestimabile, come un diamante, di cui apprezzerai ogni baleno di luce riflessa.

Apro la finestra della tua camera, quella da cui sono entrata, e da lì partiremo. Dammi la mano.

Ricordi questo luogo? Sai chi è quella bambina? No, non vergognarti. Perché arrossisci? Per la cattiveria con cui ha trattato la sua compagna un attimo fa per il solo desiderio di mostrarsi potente agli occhi degli altri bambini o perché è tanto vivace quanto inopportuna ora? Pensa bene prima di rispondere a questa domanda! La risposta che stai per darmi non voglio sentirla, la conosco già! E’ per questo che abbiamo iniziato questo viaggio.

Vieni, vieni con me…

Riconosci questa stanza? Già, proprio quella cucina gialla, proprio quella. Quella donna indifferente ed indaffarata e quella bambina nell’angolo, le riconosci? Guarda le labbra strette in un’espressione di estremo impegno e zelo mentre é china sul quel librone: credi sia vero? No, fermati! Non rispondere! Io so già cosa stai per dire! E’ per questo che abbiamo iniziato questo viaggio.

Guarda l’orologio: è quasi ora… Dobbiamo andare. Dammi la mano.

Non dirmi che non riconosci questo posto! Guarda queste scale strette e quest’atrio… Ci sei arrivata! Brava! Saliamo… Non possono vederci, stai tranquilla, e comunque non ti riconoscerebbero: sono passati anni dall’ultima volta che hai varcato quella soglia!
Guarda! Già, brava quella ragazza a disegnare! Brava a fare tutt’altro che seguire le lezioni. Tu hai una spiegazione a questo suo strano comportamento? Disinteressata, sì!... Ma… perché? No, non rispondere!
Guarda meglio… studia altro… perché qui? Perché ora?... Lascia stare!

Spostiamoci!

Beh, questo posto dovrebbe essere più facile da ricordare: è più vicino nel tempo! La vedi quella ragazza sola da quando hai sentito quella campanella suonare? Disegna!.. Perché? Sì, hai ragione… Ma… perché non fa quello che dovrebbe? Sì, si preoccupa invece! Ma non lo fa ugualmente!... L’età.. sì, l’età.

Dammi la mano, io sposto l’orologio avanti di qualche secondo… anno…Pronta a saltare al mio tre?

Uno, due … tre!

Già, se sta tutto il giorno in quella posizione le verrà una bella scoliosi! Hai ragione… Ma, noi siamo qui per te, non per lei! Guarda ed impara! Cosa? Lo saprai a momento debito… Per ora guarda. L’impegno. La dedizione. L’ansia. Per lei? No, non rispondere! Conserva questa risposta per quando ci avrai riflettuto sopra. Fai due passi fuori dalla porta di questa camera ora. Dove siamo? Lo sai? Già! Bel sole fuori, vero? Oh, eccola che arriva! E’ sola questa mattina! Dentro? Dovresti dirmelo tu dentro cosa c’è! Vuoto? No.. non interpreti bene a distanza di tempo, mia cara! Senso di sconfitta! E’ pieno, tutto pieno: rancore! Quanto tempo lo porterà dietro? No, non rispondere quantificando gli anni! Ti rispondo io: troppo!

Ora facciamo un salto più grande..Pronta? Via!

Eh, sì, sei tu… Meritava quelle cose che hai detto? No, non rispondere! So cosa pensi amica mia. So che pensi di aver detto assolute verità. In questo campo pretendi di aver ragione sempre. Siamo in viaggio anche per questo. E adesso dammi la mano perché ho avanzato le lancette una volta ancora: salta!

Cosa voglio che guardi? Queste persone. Tutte loro. Cosa vedi? Perché non sai rispondere? Cosa ti ha trattenuta? La tua è confusione! Hai riconosciuto almeno due di loro. Gli altri è facile capire chi sono. Concentrati su quella donna. In lei vedi un vuoto incolmabile, un certo senso di non appartenenza al mondo e al tempo, un senso profondo di frustrazione e dolore. Un’indifferenza scomoda ma difficile da scrollare di dosso. Voglio che rifletti: cosa l’ha condotta a questo?

Portami a casa. Ora conosco tutte le risposte.



04 giugno 2008 21.44

lunedì 7 dicembre 2009

...Holy Fortitude...

"La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Accordi sacri ti costringono a guardarti dentro mentre un brivido ti sale lungo la schiena e si insinua nel cuore.
Quello che hai lasciato non tornerà, ma tu puoi andare avanti.
Una ragione c’è, per tutto.
Sfideremo insieme il Signore questa volta, se Egli vorrà mostrarsi, altrimenti sarà di nuovo il Fato il nostro avversario.
Elemosino solo la tua attenzione, quella che continui a negarmi: ascoltami, ascoltami, ascoltami!...
Il coraggio è ciò che ci permettere di affrontare la vita e tu l’hai dissimulato per troppo tempo.
Fidati. Di me. Di te. Di noi.
Ti porterò dove il cuore sarà leggero, dove la mente sarà piena di dolce realtà ed amata finzione e la fantasia sarà libera di volteggiare su un legnoso palco…
Ora tocca solo a te. Seguimi…



27 settembre 2007 13.41

mercoledì 2 dicembre 2009

Il Principio

Tutto è già cominciato prima, la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro.

Italo Calvino