sabato 13 novembre 2010

Fogli bruciati.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Ho disegnato una storia con la mia matita rossa appuntita. L’ho disegnata sui brandelli di fogli che rimanevano del mio quaderno di schizzi, quelli che si sono inspiegabilmente salvati dalle fiamme del camino. Tutto il resto è volato via come cenere per posarsi chissà dove.
Non sopportavo più l’apatia che mi immobilizzava e il torpore della mente generati dal mio vortice di spietata autocritica. Così, risucchiata sempre più a fondo, incapace di reagire e disgustata da quanto avevo realizzato fino ad allora, ho gettato il quaderno di pelle nera nel fuoco vivace, con un gesto di rabbia cieca, senza nessun rimorso volevo vederlo ardere finalmente, desideravo godermi ogni crepitio come fosse un segno di Vita di quelle che erano rappresentazioni malriuscite della realtà, sempre troppo statiche e così insopportabilmente bidimensionali. “Colpevolmente innocente!” – gli ho urlato gettandolo fra le fiamme. Colpevole di essere testimone dell’inettitudine solo e soltanto mia che lo assolveva ad essere privo di peccato.
Mi sono addormentata sulla poltrona davanti al caminetto mentre cercavo di trarre nuova forza da quell’inclemente sacrificio d’innocente e, qualche ora più tardi, mi sono svegliata preda dei brividi: il fuoco aveva smesso di ardere. Sulla pietra, accanto alla cenere, giacevano alcuni pezzi di carta bruciacchiati, senza linee disegnate. Salvati dalla fiamme. Li ho raccolti e guardati per un poco, come studiandoli, stupita che fossero stati risparmiati e arrabbiata per quest’ impudente smacco, tanto da decidere di torturarli prima di rigettarli nel fuoco nuovo che avrei acceso a breve.
Ho disegnato una storia con la mia matita rossa appuntita sui brandelli di fogli che rimanevano del mio quaderno di schizzi. Ho poggiato la matita accanto ai pezzi di carta e guardandoli quasi non volevo credere a ciò che vedevo davanti ai miei occhi: la prima linea che ho tracciato si stava sollevando dal foglio. Il disegno prendeva Vita. Bidimensionale, come l’avevo disegnato, ma Vivo.
Era un fumetto dalle linee semplici, con un lui ed una lei. Quando tutti i contorni di lui si alzarono dal foglio e fu in piedi sulla scrivania, tese la mano verso quella di lei che stava sollevandosi dal piano di carta per aiutarla a venirne fuori. Una volta fuori, lei si accovacciò sul foglio per tirare via la borsetta che io avevo disegnato poggiata sul tavolo in fondo alla stanza. Si diressero insieme verso la porta e dal secondo pezzo di carta si alzarono gli alberi e le foglie autunnali cadute sui sanpietrini, perché persino questi ultimi si erano innalzati sul piano del foglio. I due camminavano lungo la strada su cui, man mano, foglietto dopo foglietto, si ergevano rari alberi e le vetrine di negozi già addobbate per Natale, fermandosi di tanto in tanto. Ai bordi della via, procedendo nella storia, comparivano altri personaggi, artisti di strada, di cui avevo riprodotto le abilità, prendevano vita e uscivano dal foglio roteando in aria birilli e sfere colorate, gonfiando variopinte bolle di sapone con una corda, disegnando con le bombolette spray paesaggi visionari. Ad uno di questi angoli si trovava una vecchina col fazzoletto in testa che vendeva le caldarroste fumanti e i due vi si fermarono prima di proseguire verso una lunghissima scalinata che si sollevò dal foglio gradino dopo gradino, ergendosi maestosamente al di sotto di una chiesa. Prima di salire i due si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi si sedettero su uno scalino, si scambiarono un bacio e risero per il tutto il tempo assaporando le grosse castagne che avevano nel cartoccio.
Ero incredula. Ho ripercorso la storia a ritroso con lo sguardo e, arrivata al primo pezzetto di carta disegnato le linee hanno cominciato a sbiadire, così, rapidamente, ho mosso gli occhi verso i due personaggi sulla scala che capeggiava sul mio tavolo e li ho visti abbracciarsi prima di sparire.
Ho strabuzzato gli occhi.
Ho disegnato una storia con la mia matita rossa appuntita sui brandelli di fogli che rimanevano del mio quaderno di schizzi, l’ho vista animarsi, ho gioito per questo, ho respirato l’amore che avevo tentato di riversarvi, ne ho goduto, ho temuto fosse scomparsa nel nulla ed invece è ancora qui, sotto i miei occhi, anche se solo come l’avevo disegnata, ho ringraziato per questo.

sabato 25 settembre 2010

Carillon

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj


"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Ho trascorso tutta la notte seduto sul freddo pavimento di marmo rossastro della nostra camera da letto, con le gambe incrociate, la schiena poggiata al letto, a guardare ed ascoltare il suono del carillon di legno, caricandolo ogni volta che la musica finiva. Rapito dalla meraviglia di quel piccolo oggetto capace di donarmi un’apparente serenità. Tutti quei brutti pensieri nella mia testa, attenuati dall’armoniosa melodia proveniente da un semplice ingranaggio. Eppure, per quanto tenui sembrassero, li ho pensati tutta la notte, senza elaborarne davvero uno. E’ come se aleggiassero sempre indefiniti ed irrisolti sopra la mia testa ed io ne sentissi il peso in ogni momento che trascorro da solo con me stesso e con la compagnia di chi non soddisfa il mio esigente Ego. Non desidero altro che alleggerire quel macigno.
La musica di questo carillon ha riempito i miei vuoti questa notte, ma non appena verrà il giorno e dovrò rinunciarvi il vuoto m’ingoierà da dentro, di nuovo, e così, per non esserne divorato mi appiglierò a qualcos’altro fuori da me, perché in me non trovo capisaldi per resistergli. In me non esistono passioni ed interessi così grandi da spingermi a superare l’apatia che, giorno dopo giorno, nutro con la sospensione della mia volontà di agire, si tratti anche di agire per le piccole cose quotidiane. Ogni attimo passato da solo si riduce alla soppressione dei miei assilli attraverso un bombardamento di suoni, dallo stereo, dal televisore, dal computer, che si ripetono infinitamente finché non riesco a trovare un altro essere umano disposto a salvarmi da me stesso. Troppo spesso è lei. Non è giusto. Lei non dovrebbe sentirsi obbligata a salvarmi ogni volta, ed è meschino il mio comportamento nei suoi riguardi: non dovrei chiedere, spero solo di non pretendere. Non so se ci sono veramente altri, nella mia vita, che potrebbero salvarmi da me stesso, forse sì, ma non riesco a fare a meno di pensare che il mio rapporto con loro non è come desidero che sia. Forse il problema è solo dentro di me: non sono capace di stabilire rapporti autentici con le persone giuste perché quelle che reputo giuste per farlo, in realtà, non lo sono. O, forse, il problema è semplicemente che io conto davvero troppo di non sentirmi solo quando, invece, essere soli è parte integrante della vita.
Ad ogni modo stanotte cerco una ragione per tutto questo e non la trovo, rimango qui anestetizzato dal suono del carillon. Scatto in piedi. Stanco di aspettare. Stanco di piangermi addosso. Stanco di elemosinare attenzioni. Stanco di essere schiacciato dall’apatia. Mando in frantumi questo posto. Giù i libri dalle mensole. Giù i profumi dal comò. Piccoli frammenti di vetro schizzano. Infrango con un pugno lo specchio. Il sangue cola giù dalle nocche ancora chiuse in una stretta dolorante. Con tutta la forza che ho riverso a terra in un colpo solo lo scrittoio. Calcio la sedia fino a farle raggiungere la porta. Strappo le tende tingendole di rosso sangue. Urlo. E’ notte. Lei non c’è. Stavolta bado da solo a me stesso. Ho salvato solo il carillon che ancora suona: non so se sia stato saggio averlo fatto.

venerdì 20 agosto 2010

Soggettiva.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Potrebbe apparire come la scena finale di un film triste: con l’inquadratura in visuale soggettiva che, pian piano, a partire da un anonimo terrazzo sulla cima di uno dei tanti palazzi, si perde sulla città stagliata di fronte ad un ambrato tramonto, seguendo la scia delle note provenienti da un altrettanto anonimo mangiadischi sullo stesso terrazzo, che si diffonde con il vento che agita la corsa delle foglie secche impressionata dalla pellicola seppia.
Potrebbe. Ma l’ora non è certo quella del tramonto: c’è la luna alta in cielo. E brilla. La musica, però, scende altrettanto leggera in strada e mi fa sorridere il pensiero che se c’è qualche altro sempre-desto nel quartiere, oltre me, verrà accarezzato dall’armoniosa melodia che ho deciso di far risuonare all’infinito in questa notte in cui non esiste tempo, nella notte di cui mi sto appropriando per sviscerare i miei pensieri e le mie emozioni così spesso contrastanti, e, chissà, forse ne approfitterà anch’egli per fluttuare sull’onda libera del suono e raggiungere le rive del suo Essere ancora ignote.

“For changing lines
I've got no time tonight”

No, di tempo non ne ho più per cambiare questa linea morbida che sta ridisegnando il mio profilo. E’ il mio, e solo mio, arco d’amore che cresce giorno dopo giorno e mi tiene compagnia e mi dà il calore di cui ho bisogno quando la mia mente vagante s’incaglia nelle secche della solitudine che circondano l’isola del mio amore perduto, sulle cui spiagge non ho più possibilità di approdare. E l’accarezzo il mio arco d’amore, divisa fra il desiderio che rimanga così per sempre come se fosse la mia fonte di coraggio, la mia ancora di salvezza dal vuoto che mi è stato lasciato nel petto, da cui trarre forza semplicemente sfiorandolo con le dita, dolcemente, prima su e poi giù, e la curiosità di conoscere quel meraviglioso segreto che racchiude e che, tuttavia, mi spaventa.
Eppure la paura, quella vera, mi ha quasi abbandonata. Rimango intimorita dall’incerto futuro che mi attende da qui a qualche mese, nonostante i miei continui sforzi per delinearlo che, purtroppo, troppo spesso, si riducono a tentativi di auto convincimento circa la mia adeguatezza nel nuovo ruolo che sarò chiamata a ricoprire, circa la mia capacità di stabilire un contatto sereno ed equilibrato con una nuova vita e di riuscire a mantenerlo negli anni, soprattutto i più difficili, tutto da sola. E rimango ancora, anche se marginalmente, intimorita dalle trasformazioni che subirà la mia vita, dai sacrifici a cui sarà costretta la mia individualità, dalla mancanza definitiva dell'Amore che ho sempre desiderato. All’inizio di questa nuova epoca della mia vita, non ero solo intimorita: provavo un forte senso di smarrimento. Ero terrorizzata dall’idea di rimanere sola ad affrontare tutto quello che avrebbe comportato accogliere una nuova parte di un ormai sepolto “noi” nel mondo. E lo ero a tal punto da essere disposta a costringermi all’accettazione della via più “semplice” pur sentendomi morire dentro. Ma in una notte di luna, come questa, mesi fa, cercai di fare chiarezza fra i miei pensieri. Non mi stava riuscendo particolarmente bene, così tentai di far sollevare quelle riflessioni pesanti come macigni sulle note di una canzone, sperando che librandosi in aria raggiungessero la loro giusta collocazione e io avrei solo dovuto leggerne la sequenza dipanatrice dei miei dubbi.
“Così non è.” –pensai-“Forse non lo è mai.” Però vedendo i miei pesanti pensieri levarsi in aria realizzai che anche quello che sembra impossibile può accadere e poi, proprio in quel momento, delle parole mi colpirono:

This crazy shine it never lets you die
Going up
We become what we want
Again the moon rises up too high
And we don't need the sky.

E così quella luce non ha permesso che io mi spegnessi ed io non ho spento lei.

sabato 31 luglio 2010

Panico

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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E’ la sensazione di non essere padrone di te stesso che ti conduce verso l’oblio della tenebra, in quel luogo dove rimane solo un pensiero e lo percepisci come riecheggiasse urtando contro le pareti della stanza che, per ogni secondo che passa, si stringono claustrofobicamente su di te.
E per quanto sia orribile quell’unico pensiero che ti è rimasto e vorresti scacciarlo con tutte le tue forze c’è una parte di te che lo afferra e non vuole mollarlo perché pensare è quello che ti rende vivo. E per qualche secondo che sembra durare in eterno quell’idea primeggia alimentando il tuo terrore e il vuoto che dilaga dentro di te una volta aperta la ferita. E’ sentirsi spezzati dalla sensazione che pezzi di te crollino in terra sgretolandosi e che il cuore sia pronto a frantumarsi da un momento all’altro per seguire il resto, perché non può durare molto più a lungo degli altri pezzi: è lì che hai sentito il primo squarcio, prima o poi cederà, non sai esattamente quando ma sai che succederà e lo farà presto. E per questo ti sforzi di spalancare gli occhi, quasi a voler afferrare la prima immagine serena che possa trarti in salvo, non vedi nulla davvero. E per quanto ti sforzi di respirare aiutandoti con la bocca l’aria si blocca in gola tanto da farti male e il fiato ti continua a mancare, il peso sul petto è sempre più insopportabile, la testa sempre più leggera e quasi ogni sua facoltà è azzerata, non riesci neanche ad emettere un suono. E la consapevolezza della tua condizione di afonia ti avvicina sempre di più all’attimo in cui non sarai più, come fa la tua tremante rigidità. Ma il tuo cervello sta funzionando perché realizza per te immagini di un completo buio stretto attorno a te che ti imprigionerà per sempre dal quale non esiste via d’uscita una volta attraversata la linea tra luce e oscurità. E queste immagini non fanno che amplificare il terrore di stare per attraversare la linea nell’immediato, consapevole che non basterebbe puntare i piedi sul terreno, aggrapparti a tutto quanto di saldo trovi sulla via, ammesso che il tuo corpo di colpo riprenda ad obbedire al tuo volere, per rimanere dal lato in cui i tuoi occhi vedono, il tuo cervello pensa tu parli, ridi, ami e odi.
E più cerchi di sgombrare la mente più i tuoi assilli si ripresentano, uno ad uno, poi insieme, poi il più lontano e il più recente. Bussano insistentemente alle porte della tua anima, ululano il tuo nome, graffiano sui vetri, non puoi non sentirli, non puoi mai non ascoltarli.
E’ un brivido gelido, un senso di morte imminente, il crollo di ogni certezza, è panico, quello che ti prende.


6 Maggio 2010

venerdì 30 luglio 2010

Tanto sono solo parole.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine

Questa va a chi sa perché scrivo
A chi non servono parole per intendere un “grazie”
È per tutte quelle volte che avrei voluto aggredire un foglio bianco sfogando le frustrazioni di sempre, per quelle volte che l’ho fatto ed ho sbagliato, ferito, graffiato.
Questa va a chi sa che colore ha la notte quando è solo tra le vie della sua città, che odore ha quando è stato abbandonato, fregato, da sta vita qua.
Questa va a chi non ha parole nuove e quelle che ascolta ricorrono come dejà vu.
A quelli che non vedono futuro e sono spaventati dal viaggio, a chi partirebbe anche domani senza sapere dove andrà.


21 Febbraio 2010

giovedì 17 giugno 2010

I Won't See You Tonight.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine

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Scorre ancora come un fiume rosso vivo in piena che rompe gli argini. Si allarga la macchia, distante dalla sorgente che ho aperto squarciando la carne del tuo petto con un unico fendente improvviso, sicuro, criminale ma, per me, senza peccato. Aver dormito tante notti, tranne questa, con la testa poggiata sul tuo cuore pulsante mi ha avvantaggiata nell’atto di condannarti.
La nostra ultima notte è stata anche la tua e la vostra, e si conclude ora, con le prime luci dell’alba che, entrando dalla finestra affacciata sul prato verde e sul pesco in fiore, originano sfavillanti scintillii sul tuo sangue che rimarrò qui a contemplare finché il sole non si sarà levato del tutto, quando tutto, forse, cambierà.
Forse lei avrebbe trovato romantico assistere al tuo sacrificio in nome del vostro amore. Avrei voluto chiamarla per regalarle quest’emozione ma perché? Ti ho diviso con lei negli ultimi mesi, in silenzio mentre lei rubava le mie emozioni, così, mi è sembrato doveroso appropriarmi in esclusiva di questa: dell’odio e della vendetta, dell’odore e del sapore del tuo sangue. Della piacevole sensazione di guardarti mentre ti accasciavi a terra, con gli occhi fissi su di me che ti sorridevo diabolica mentre le mie dita, sporche del tuo sangue, sfilavano sotto il mio naso e bagnavano le mie labbra e la mia lingua. Sorridevo perché il sapore della vendetta è il miglior piacere che possa essere offerto ai nostri sensi.
E poi, probabilmente, se fosse stata qui avrebbe tentato di fermarmi la sciocca, o mi avrebbe immediatamente denunciata, impedendomi di rimanere qui a meditare e celebrare questo momento.
Inspiro profondamente, non credere che sia perché abbia bisogno di riprendermi, non ho ansie, non ho sensi di colpa, non ho paura, io adoro l’aria pungente del mattino, quella che, se chiudi gli occhi, ti trasmette l’impressione che, se ti concentri ancora un poco, puoi librarti in volo e lei ti porterà con sé fino all’orizzonte, rimanendo a mezz’aria sul mare che luccica, libero dalle preoccupazioni, capace di sfiorare solamente i tuoi pensieri, senza la necessità di approfondirli così da assaporare il gusto dolce della pace. Ma questa è una sensazione, è effimera, ora che il venticello fresco che entrava dalla finestra si è concesso una pausa e riapro gli occhi, davanti a me c’è il tuo corpo esangue e i flutti del tuo sangue iniziano a placarsi e la macchia scurisce.
“L’amore provoca solo sofferenza.”, quante volte te l’ho ripetuto? Soffri quando ami e l’oggetto del tuo desiderio non ti corrisponde, o, peggio, quando smette di farlo. Soffri quando ami e sei costretto a dividere il tuo amore con un altro, o, nella migliore delle ipotesi, quando sei divorato dal timore di esservi costretto prima o poi. Soffri quando smetti di amare e non vuoi ferire.
Io ho sofferto stanotte mentre facevo l’amore da sola perché tu non c’eri lì con me e quando te ne sei accorto era troppo tardi: quel nome l’avevi già pronunciato. Uscire dal letto e rivestirti quando ancora non eri pronto a farlo non è bastato a salvarti.
Tu hai sofferto mentre ti uccidevo e continuavo a guardarti negli occhi.

lunedì 10 maggio 2010

Polvere.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Per anni questo ricordo è rimasto sepolto sul fondo della mia anima. Ho lasciato che uno spesso strato di polvere lo coprisse.
La polvere. La polvere non è sporca come lo erano le sue mani sempre in ordine. Le sue grandi mani da adulto, troppo morbide per essere sincere. Dalla prima volta che mi sfiorarono ebbero il potere di irrigidirmi completamente, di insinuare in me una grande paura, seconda, però, al mio enorme senso di colpa. Ripeteva che meritavo di essere trattata così come faceva. Lo meritavo perché una bella bambina non è un dono del Signore ma una tentazione di Satana. Mi mostrò la mia natura di strumento del peccato spogliandomi nuda davanti ad uno specchio e rimasi zitta ad ascoltare, sopraffatta dalla vergogna per me stessa. Così, quando uscì la prima volta dalla mia stanza dei giochi, non ebbi il coraggio di affrontare di nuovo lo specchio. Da quel giorno non ebbi più neanche il coraggio di alzare lo sguardo, spaventata dalla possibilità di incrociare quello altrui e indurlo così in tentazione.
Mi raggiungeva spesso nella mia stanza dei giochi, chiedendomi di giocare con lui con fare tenero, prima quando la mamma usciva, poi anche quando la mamma era al piano di sotto, prima della cena. Qualche volta volle giocare anche di notte, entrando nel mio lettino e sussurrandomi che non avevo bisogno del mio orsacchiotto Otto per essere protetta, che lui era lì per quello e, mentre lo diceva, cingendomi con un braccio, lasciava correre la mano sulla mia pelle sempre più bianca. Un bianco che, con gli anni, cominciò a contrastare eccessivamente con i lunghi graffi color rubino che solcavano le mie gambe e braccia e i minuscoli taglietti che minuziosamente operavo sui polsi.
Non ebbi mai il coraggio di raccontare. La vergogna era troppo grande. Forse avrei potuto confidarmi con mia madre ma, in quel caso, più che la vergogna, mi bloccava un’idea: l’idea che mia madre sapesse e che le stesse bene così pur di non perdere l’uomo retto che amava e aveva sposato.

venerdì 7 maggio 2010

Lontani pomeriggi di Maggio.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Davanti a me un’infinita distesa di fili d’erba verdi, luccicanti sotto i raggi tenui e ambrati del tramonto, increspati dal vento di questo fresco Maggio come fossero onde del mare cariche di una leggera spuma. Cerco di fissare i pensieri e le immagini che si rincorrono nella mia mente perché non ho né penna né foglio per poterli scrivere e costruire le mie storie a metà fra realtà e pura fantasia, sogno, speranza. Forse è arrivato il momento di girovagare sempre con un quadernino in borsa, magari uno di quelli col portapenna, perché la penna, quando la cerchi, non la trovi mai, anche se ne hai milioni e così i pensieri ti sfuggono, soprattutto se, come me, ne pensi troppi tutti insieme e le immagini si accavallano e vorresti dar loro un senso più compiuto ma a quel punto non riesci più ad afferrare quelle che si sono affacciate per prime alla porta della tua coscienza e rimangono lì, alcune perdute per sempre, altre rispunteranno ma non puoi mai sapere né quando né se sarai capace di afferrarle quella volta. Però qui, seduta sull’erba bagnata, una sensazione l’ho bloccata prima che fosse persa per un tempo indefinito, o infinito che sia, ed ho sorriso per il ricordo che mi ha regalato. Mi guardavo intorno e assaporavo la quiete di quel prato, lontana dalla vita frenetica di una città che non dorme mai, respiravo i profumi dei fiori, della terra umida e poi, d’un tratto, ho respirato te. Chissà se leggendo capirai. Forse no, perché ti capitava spesso di non capire o di credere che non potevo aver scritto quello che avevi letto.
Ho respirato il tuo profumo e quello che c’era nell’aria frizzante di quei pigri venerdì pomeriggio di Maggio ormai lontanissimi, quando la musica riempiva la stanza e le tende erano animate dal venticello fresco che le coinvolgeva in una leggiadra danza ed io ero stanca e tu mi venivi vicino, mi sorridevi e poggiavi la tua fronte contro la mia ed io, chissà quante volte senza accorgermene, muovevo il naso a destra e a sinistra velocemente, come un topino. La maggior parte delle volte me ne rendevo conto solo dopo, perché tu allontanavi il tuo naso dal mio e mi guardavi con un sorrisetto divertito. Ma quello che tu non sai, forse lo immagini, chissà, è che sempre, prima che venissi a stenderti accanto a me a letto, ti guardavo per tutto il tempo mentre facevi le tue cose, il più delle volte mentre stavi semiseduto nudo davanti lo stereo, tra sedia, scrivania e sgabello, coi piedi arricciati, una cosa che mi ha sempre fatto sorridere perché mi ricordavi un bambino, quei bambini timidi che hanno bisogno di tante attenzioni per trovarsi davvero a loro agio e lasciarsi andare. E rimanevo lì a fissarti e a pensare, il più delle volte a fantasticare, mentre le tue playlists continuavano a suonare, sempre cercando di afferrare tutto quello che scorreva dentro la mia anima per tramutarle in un nero su bianco, come se tu fossi una sorgente d’ispirazione.
E mentre sto seduta qui a respirare ancora il profumo tuo e di quei pomeriggi, con l'immagine di te di fronte lo stereo impressa in modo indelebile nei miei occhi, fa capolino un rimpianto perché, nonostante parlassi troppo spesso di quanto fossi certa della fine di quelle belle giornate, in fondo credo che sperassi che fossero solo parole dettate dalla paura. Rimpiango che non ci siano ancora pomeriggi di Maggio.

giovedì 6 maggio 2010

Pensieri

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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E metto Amore fra queste righe, lo riverso come se in me fosse così tanto da traboccare, goccia dopo goccia, versato dal mio cuore costantemente in cerca dell’Emozione. E chiedo disperatamente Amore tra queste stesse righe, tra le pagine scritte da quest’anima fragile ed insicura. E rifuggo quell’Amore che non ricevo, spaventata dai colpi che potrebbero abbattersi su di me e che non saprei incassare.
E ripenso a quando mi ritrovavo a parlare con un’ombra, l’ombra di te, che mi sfuggiva, che scivolava fra le mie dita, attimo dopo attimo. Un’ombra che compariva nell’oscurità e fuggiva alle prime luci dell’alba lasciando il segno nei ricordi della notte. Un’ombra che è diventata Forma ed Essenza, che ora sento vicina ma di cui ancora mi spaventa la possibilità che possa sparire quando raggiungerò la luce piena.
E mi ritrovo a parlare con l’altra me, sfumando i confini fra le nostre immagini sovrapposte, con la voglia di fuggire lontano, dove nessuno possa raggiungermi, arroccata in un castello, protetto da un impenetrabile e fitto bosco e pungenti rovi, sospesa fra il desiderio di rimanere lì da sola per sempre e quello di scorgere dalla torre qualcuno che si avventuri fino sotto le possenti mura di pietra, qualcuno che conosca lo stesso altalenare di sentimenti ed inquietudini.
E mi ritrovo a scrivere bianco su nero il punto della situazione. Della voglia di libertà assoluta, del bisogno di proteggersi dai colpi che gli altri infliggono alla mia anima sfiduciata, della necessità di forgiare un nuovo scudo, perché quello che avevo l’ho abbandonato in quella foresta l’ultima volta che l’ho attraversata allontanandomi dal castello, del rifiuto di portare con me una spada perché ho paura dell’uso che potrei farne, perché ferire è un po’ come perire.

2 Giugno 2009

domenica 11 aprile 2010

Frammenti.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Mi sono svegliata tante volte col desiderio di aver solo avuto un incubo. Mi sono svegliata tante mattine con i pezzi del mio cuore sparpagliati sul letto. Mi sono svegliata sempre con la speranza di vederti e parlarti ancora una volta.
E tante volte, prima di alzarmi, ho dovuto cedere alla dolorosa realtà. E tante mattine, prima di alzarmi, ho dovuto raccogliere e rincollare i frammenti del mio cuore che diventavano più piccoli di rottura in rottura. E sempre, prima di alzarmi, la speranza di vederti e parlarti ancora una volta moriva. Come te.
Mi svegliai e mi alzai anche quella notte quando squillò il telefono. Fu l’ultima volta in cui non mi pesò, l’ultima volta in cui non c’erano pensieri migliori rispetto alla realtà a trattenermi sotto le coperte.
Dall’altra parte della cornetta lei piangeva, singhiozzava ed io non capivo, mi attraversò solo un brivido quando sentii il tuo nome, in preda al panico le dissi, sforzandomi di usare il tono più calmo che potevo, di tranquillizzarsi e smettere di piangere in modo che potessi capire quello che voleva dirmi.
Vorrei non averlo mai fatto. Vorrei non essere stata messa nella condizione di capire quello che era successo.
Riuscii a dirle “Arrivo”, poi la cornetta mi scivolò di mano e da qui per molto tempo ho avuto un vuoto. La nebbia sui ricordi si dissolveva sul volto di lui che mi guardava spaventato mentre io ero seduta rigidamente su una sedia di un lungo corridoio bianco d’ospedale con gli occhi fissi e spenti su di lui. Non sapevo quello che era successo prima. Forse ero stata così tutto il tempo. Non sapevo neanche quanto fosse stato “tutto il tempo”.
Ma una mattina, una di quelle in cui fui costretta a raccogliere i pezzi del mio cuore disseminati sul letto, prima che questo si frantumasse lo sentii gonfio, gonfio come solo l’ira può fare, e ricordai. Colmai il vuoto, sollevai la nebbia e provai un misto di sollievo, per aver finalmente riafferrato le immagini di quella notte, e profondo dolore, più profondo di quello che mi assale ogni mattina, per quello che la mia mente riportò alla luce.
La raggiunsi nel parcheggio del locale di cui, tra i singhiozzi, era riuscita a dire il nome. Molto vicino a casa mia. Arrivai prima dell’ambulanza, prima della polizia, ma non abbastanza velocemente per poterti fermare nel viaggio verso le tenebre, né per poterti dire, semplicemente, addio.
Arrivai e vidi lei tenerti tra le braccia e piangere disperatamente. Corsi verso di voi e quando vi fui davanti, dopo la prima rapida occhiata, crollai a terra. Le gambe non mi reggevano più. I miei occhi vedevano solo grandi macchie rosse e le mie mani cercavano di cancellare quelle sul tuo viso delicato e forse, inconsciamente, speravo che questo potesse svegliarti. Non piansi. Non piansi fino al momento in cui dovetti separarmi da te definitivamente, fino all’attimo prima in cui la bara di legno chiaro fu posta nel loculo di pietra bianca non una lacrima scese dai miei occhi e solcò il mio viso. Ero bloccata. Bloccata da un’ingenua ed illusoria speranza: che per qualche oscura ragione ti svegliassi o che saresti potuta rimanere lì, dormiente per sempre, accanto a me, in modo che potessi vederti e parlarti come era sempre stato. L’illusoria speranza che non eri andata via per davvero.
Ma tu via sei andata. Anzi, qualcuno ti ci ha portata.
La mattina in cui ricordai quello che era successo quella notte provai un odio profondo, una furia spaventosa, come successe quella stessa notte quando vidi i segni delle coltellate sul tuo corpo, i lividi sul viso, il sangue scuro che colava sull’asfalto e il coltello sporco di quello stesso tuo sangue poco più in là. E anche quest’enorme rabbia e il desiderio di vendetta che crebbero rapidamente dentro di me mi impedirono di piangere. Ringhiai a lei se l’aveva visto quel bastardo che ti aveva ridotto così, che t’aveva ammazzata, le urlai di dirmi dov’era andato e da quanto tempo era scappato. Lei non faceva altro che piangere ed io non facevo altro che gridarle di rispondermi fino a quando non mi disse quello che volevo sapere. E con quell’informazione mi ero trasformata in un istante in una macchina vendicatrice: sapevo che avrei vissuto le ore seguenti solo in funzione dell’attimo in cui avrei piantato un fendente nel ventre di quell’uomo per vederlo poi morire in modo straziante sotto i miei occhi senza distogliere mai lo sguardo.
Il mio pensiero andò subito alla ricerca di modi per rintracciarlo: salire in macchina, dirigersi verso il bosco lì vicino dove sicuramente aveva guidato ed abbandonato l’auto sulla quale era salito per far perdere le tracce di sé tra gli alberi. Gli avrei dato la caccia anche tutta la notte se fosse stato necessario.
Non lo fu. Perché in un attimo in cui lei era girata verso il fondo del parcheggio lo vide ed urlò.
Non fui mai più veloce: corsi in quella direzione e lo inseguii per qualche metro prima di riuscire a mettergli le mani addosso, senza preoccuparmi se fosse o meno solo, non m’importava di quello che potevano farmi, l’importante era che lui pagasse per quello che aveva fatto a te.
Lui era chiaramente rallentato dalla droga e dall’alcool, questo mi aveva permesso di raggiungerlo e mi offriva ora un altro vantaggio. E forse avrei dovuto avere pena di lui vista la sua condizione, ma nella mia mente dilagava solo il caos attorno all’idea ossessiva di piantargli il coltello nelle carni.
Mi colpì con un pugno ed io colpii lui, rotolammo l’uno addosso all’altra per qualche minuto finché io non riuscii a rialzarmi per assestargli un colpo sulla nuca con il gomito che lo stese momentaneamente dandomi il tempo sufficiente per estrarre dalla cintura il coltello che mi ero portata dietro, lo stesso con cui lui ti aveva uccisa. Gli diedi il tempo di rimettersi in piedi dritto davanti a me perché lo volevo guardare negli occhi mentre moriva. Rapida sferrai un colpo e quando si accasciò a terra ne inflissi anche un secondo ed un terzo. E rimasi lì. Lo guardai morire. Non provai pietà. Non ebbi rimorso. Sentii la mia ira iniziare a placarsi e il cuore decelerare. Potrei dire che assaporai un istante di pace. Lo assaporai finché non mi resi conto di ciò che era accaduto, di quello che avevo fatto, finché non sentii intimarmi di alzare le mani e gettare l’arma.
Passai il resto della notte in osservazione in ospedale.
Passai le notte seguenti, per diversi anni, in un carcere.

venerdì 12 marzo 2010

Rebel Rebel

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine




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Ho il blocco dello scrittore.
E detto questo potrei fermarmi. Uno perché se sono in blocco allora non ho niente da dire e, quindi, perché continuare a riempire un foglio di parole inutili e fini a loro stesse? Due perché io non sono uno scrittore ed è quantomeno presuntuoso da parte mia definire la mia incapacità di riversare pensieri e storie su carta come “blocco dello SCRITTORE”.
Però, in fondo, lo so io, lo sapete voi, cose da dire ne avrei tante, e, oltretutto, sono pure presuntuosa quel tanto che basta per fregiarmi di titoli che non mi appartengono.
Ora, il blocco c’è e le cose da dire pure, paradossalmente. La presunzione, abbiamo detto, non manca, quindi quest’ultima mi autorizza a fare un po’ tutto quello che mi pare e piace. Compreso impossessarmi delle parole altrui e metterci del mio, così le abbellisco un po’, va! Tanto io sono più brava! Tié!
Ripescando un po’ dal mio passato c’erano delle parole che avrei tanto voluto aver pronunciato io, ma le hanno affidate a quel gran bel figliuolo dell’Accorsi e quindi a me non resta che rivisitare un poco il discorso del buon ribelle Freccia.
Credo nelle rovesciate di Bonimba, - e ci potrebbe stare in effetti. Negli anni in cui era militante nella Vecchia Signora s’intende! Che, si sa, Freccia sicuro si riferiva agli anni nell’Inter, era ner’azzurro sicuro! Cosa che, voglio dire, Freccia, se avessi visto l’Inter dei nostri tempi sicuro avresti cambiato squadra, fino anche a pensare di tifare Milan per ripicca perché a te non è mai piaciuto vincere facile come a qualcuno quando scende in campo! - e nei riff di Keith Richards. – non ci capisco molto di musica ma, i Rolling Stones sono i Rolling Stones! Te l’appoggio Fre’! - Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa, che viene a prendere l'affitto ogni primo del mese. – Ma anche no! Perché è la sottoscritta che va dal suo bradicardico padrone di casa a strimpellare il campanello ogni mese con l’impressione di mettere in mano cinquecento preziosissimi euro ad un lobotomizzato che ha difficoltà a comprendere frasi semplici quali: “A che ora posso passare a casa sua per pagare l’affitto?”. I soldi però li sa contare! E’ interessante osservare, da un punto di vista scientifico, come, sebbene gli sia stato asportato chiaramente un emisfero, conservi la capacità di operare progressioni geometriche. - Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. – Capitolo genitori. Capitolo Madre: vedi “La mia vita dai 5 ai 23 anni”. Incomprensioni, sospetti, urla, crisi isteriche, violenze verbali e fisiche, silenzi assordanti, silenzi definitivi che cullano una tanto agoniata pace interiore. - Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. – E ti sei sbagliato Freccia! Ti sei sbagliato! - Credo che non sia tutto qua, - Non credo, no, ma credo che tutto sia nella nostra testa e in quella degli altri, sono le Idee che governano il Mondo. E siccome, come dicevo all’inizio, mi cullo nella presunzione, vi dico che non è tutto qua, ma solo pochi eletti riescono a capire il senso di quello che sta aldilà di qua, non senza difficoltà e non senza passare per una fase di depressione profonda nella quale accarezzano l’idea del suicidio per mettere a tacere tutte quelle Idee nella testa - però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio. – Ed io no. Dio è solo un prodotto della nostra alienazione. Di noi esseri perennemente insoddisfatti e in malafede che sentiamo il bisogno di proiettare al di fuori delle nostre coscienze il lato migliore per poter ubbidire ad un elevato principio d’autorità che ci indichi la strada da seguire e come seguirla così che tutto ci appaia più facile o giustificato e giustificabile. - Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con trecento mila al mese, - E le cose in questo Paese non cambiano mai. E' amara la realtà per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, forse ancora più amara per quelli che non sono più tanto giovani ma in vent’anni hanno visto ridurre il loro potere d’acquisto vertiginosamente - però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose. - Io i culi non li lecco! E' un giochetto che non mi ha mai attirato. - Credo che c'ho un buco grosso dentro, - e si allarga - ma anche che, il rock n'roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. – e sì, dai. Amichette a parte. - Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx. –No, da te stesso non scappi. Sei lì, dentro di te, tutto il tempo. E senti i tuoi pensieri che fanno eco e vanno sempre più a fondo, si radicano sempre più, ma, contemporaneamente, sono anche sempre in primo piano, tutti insieme, tutti affollati, che non sai quale pensare consciamente per primo, fino a che non ti porti le mani alla testa e la scrolli a destra e a sinistra urlandoti di smettere di pensare e di scappare da te stesso. Ma da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx! - Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. – E gli altri non possono sapere proprio un cazzo della mia. Ed è per questo che non me ne frega un cazzo di quello che pensano quelli che mi giudicano. Però mi frega di quello che pensano quelli che non lo fanno. E questo, a volte, diventa un problema.

domenica 28 febbraio 2010

Le ali della Libertà

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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E’ nella notte eterna che ti ho lasciato andare, certamente meno buia delle ombre che ti circondavano come fossi uno sventurato cieco, confinato in una stanza semibuia, immobile in un letto che ogni giorno profumava di lavanda, capace solo di abbozzare un sorriso ogni tanto, sforzandoti enormemente.
E ti ho lasciato andare rispettando la tua volontà, accettando con sacrificio una decisione che non spettava a me, guidata dall’amore che ancora provo per te, che si rinnovava ogni volta che incrociavo i tuoi occhi, che ardeva delle volte, come quando la scintilla nei tuoi occhi si faceva viva, e che era la mia chiave di lettura per ogni tuo sguardo, cosicché tu, mio muto fantasma, non dovessi costringerti a bisbigliare con la voce flebile così distante dal timbro profondo di un tempo. Cosicché io non fossi costretta all’impressione di sentirti già parlare da un luogo troppo distante da me. E per questo ringrazio la sensibilità della Natura umana: la ringrazio per aver potuto imparare una lingua senza parole, i cui segni sono i bagliori emessi da un’iride colorata con un dinamico puntino nero al centro. E sono riconoscente al Destino per avermi concesso molti anni per imparare a leggere lo specchio della tua anima perché è stato grazie a questa conoscenza che ho potuto interpretare quando è giunto il momento di lasciarti andare, quando è arrivato il momento di far scorrere nelle tue vene l’ultima e più massiccia dose del tuo elisir di fintavita. E mentre questo fluiva sapevo di poter sopportare il tuo sguardo, mi ero interrogata a lungo su questo, e dentro vi leggevo un’unica parola: gratitudine. Gratitudine per averti restituito la libertà e la dignità che spetta a ciascuno di noi. E così, cm non credevo, nell’istante in cui il mio pollice spingeva a fondo lo stantuffo della siringa somministrandoti la dose fatale, non ho avuto tempo per cullare i miei egoistici pensieri che accarezzavano l’idea di tenerti ancora lì con me per poterti guardare, parlare, vederti rispondere con lo sguardo, ascoltare respirare sebbene a fatica. Ma quando hai chiuso gli occhi l’ho fatto anch’io con la voglia di seguirti e con un disperato ed insensato desiderio di vedere coi tuoi occhi, di scoprire cosa c’è al di là e se è vero che nell’ultimo istante la tua vita ti scorre davanti e sei investito da tanti flash. Ed in quel momento, per un lungo attimo ho bramato con fervore che fosse così, per avere appagato l’egoistico piacere di essere io il tuo ultimo ricordo.
Ma chiudere gli occhi non è stato sufficiente per assecondare il desiderio se non con la mia sfrenata fantasia, quella che mi fa sognare ad occhi aperti che sei ancora qui,sano, che mi stringi e mi sorridi e che poi mi lascia il sapore amaro della solitudine quando svanisce come una nuvola spazzata via dal vento sopra la mia testa. Ma c’è qualcosa che mi rende forte nonostante tutto: so di averti restituito in morte le ali che la vita ti aveva sottratto, anche se sembra paradossale dipingerti con le ali parlandoti mentre sei due metri sotto terra.

sabato 20 febbraio 2010

A song for the lovers

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Ciao!”

“Ciao” rispose lei senza entusiasmo.

Lui entrò rapido nel salotto illuminato solo da una lampada alta e si avvicinò deciso allo stereo, estrasse un CD dalla tasca sbottonata del pesante giaccone nero e lo infilò lentamente nel lettore mentre lei, rimasta esitante sulla porta per un momento, seccata da quella visita, lo aveva raggiunto e lo osservava con lo sguardo attento e duro. Lui tolse il giaccone mentre la musica riempiva l’aria e, guardandola con occhi furbi ed un sorriso di sfida, lo abbandonò sul divano bianco con un gesto scherzosamente stizzoso e la guardò insistentemente prima di muoversi, ed avvicinandosi a lei non poteva fare a meno di pensare che quell’espressione inflessibile che gli si parava davanti fosse solo una copertura, fastidiosa per entrambi, che ben presto lui avrebbe buttato giù e questo lo faceva sorridere.
Lei rimase immobile al centro del salone, in attesa della prossima mossa di lui, frenata da se stessa anche per accennare un sorriso beffardo di risposta. Ma aveva riconosciuto immediatamente quella canzone e forse i suoi occhi l’avevano lasciato trasparire e forse si erano lasciati sfuggire anche un luccichio che avrebbe potuto accompagnare il brivido che le era corso addosso. E forse sperava anche fosse davvero accaduto, per poter comunicare con lui senza parole, perché quelle davvero non riusciva ad usarle vittima dell’orgoglio. Ma quando lui fu così vicino da sfiorarle le labbra lei aveva già ripreso il controllo delle proprie emozioni e non sottrasse mai lo sguardo di sfida e la bocca, vogliosa di tremare, non si schiuse.
E mentre lui, guardandola profondamente negli occhi, le accarezzò il profilo finché le sue mani non si fermarono sui fianchi, lei, immobile, con lo sguardo duro, cercava di allungare col pensiero la distanza fra loro affinché quel fuoco che le ardeva dentro non fosse percepibile attraverso il suo corpo. E lui, lui, lei lo sapeva, lui conosceva i macchinamenti che poteva giocare la mente di lei, e conosceva il modo migliore per accorciare le distanze che lei tentava di allungare ed estese il suo silenzio guardandola ancora insistentemente col sorrisetto beffardo. E lei, lei, lui lo sapeva, amava quei suoi atteggiamenti sprezzanti, fintamente arroganti, e desiderava baciare le sue labbra sottili quando il lato sinistro della bocca si inarcava delicatamente all’insù ma reprimeva con grandi sforzi ogni istinto, ricacciandolo e celandolo dietro una maschera di indifferenza che agli occhi di lui appariva come acqua limpida.
Era un gioco di forza fra loro: nessuno dei due avrebbe ceduto nonostante il desiderio di abbandonarsi completamente nell’altro.
E le mani di lui erano ancora poggiate sui fianchi di lei quando cominciò a muoversi a ritmo con la musica sorridendole complice e gli parve che la maschera di lei evaporasse non troppo lentamente. Stupore fu quello che avvertì lei nel vederlo provare a coinvolgerla nei suoi movimenti, ed in pochi secondi non controllò più le sue reazioni e, dopo un sorriso di risposta, rise, rise di gusto finché lui, rapidamente, lasciando liberi i fianchi di lei, le afferrò il viso e la tirò a sé per baciarla. Nell’animo di lei fu come un’esplosione e le sue mani si poggiarono sul viso di lui come a tirarlo ancora di più a sé. E la testa era improvvisamente leggera, tutti gli intricati pensieri di donna erano spariti ed esisteva solo quell’attimo, quell’assenza di distanze, la sua lingua morbida ed umida nella sua bocca, il suo respiro caldo e la voglia di lasciarsi andare. E le mani di lui scivolarono delicate fino ai fianchi, di nuovo, con un gesto che contrastava con l’impeto con lui la conduceva sul divano senza staccare le labbra da quelle di lei. E quando le mani scivolarono sotto la maglia di lei, mentre lui era ormai disteso sopra avvolgendola con passione, un brivido le corse lungo il profilo dal basso fino alla nuca e in un attimo fece lo stesso con lui, sfilandogli la maglietta, e separò le labbra da quelle di lui per posarle sul suo collo finché lui non le tolse la maglia, poi riprese a stuzzicarlo con dei piccoli morsi sul collo e con la lingua impudente e la musica, la musica, la musica continuò a riempire la stanza per ore, udita a tratti quando non era sovrastata dai gemiti dell’amore.

domenica 14 febbraio 2010

Stairway to Stars

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Ed è oltre una nuvola di fumo, che sale rapida e si disperde nel cielo scuro, che si perdono i pensieri di un’anima stanca. Ed è oltre quella nuvola di fumo, che esce dalla bocca della forma corporea di quell’anima, che si profilano immagini diverse, rapide, che quasi scivolano l’una sull’altra. Non è semplice afferrarle, definirle, decifrarle. Scorrono. Riemergono dal passato, si fanno strada uscendo dall’affollato presente, precedono il futuro.
Rannicchiato sui fili d’erba umidi con le spalle al muro e lo sguardo fisso nel vuoto, una canzone gli riempie la testa e gli sembra di vedere le note monocromatiche illuminate da un leggero luccichio volteggiare davanti ai suoi occhi con una consistenza gommosa, vien voglia di afferrarle ma non un muscolo risponde all’impulso. Solo le palpebre si chiudono e si aprono e la bocca accenna un sorriso finché lo sguardo si fissa poco più distante. I suoi giocattoli sono ricomparsi dove li aveva lasciati l’ultima volta ed i colori non sono sbiaditi col tempo, tutto conserva quell’aria allegra, anche nell’oscurità, di quelle mattine di maggio, quando il sole diventa più caldo ed i bambini possono giocare liberi dai pesanti cappotti e gli alberi si riempiono di colori. Ed assapora il gusto di quei giochi di quei tempi così lontani dagli obblighi e dalle preoccupazioni. Quell’altalena di legno è ancora nello stesso posto, dopo tanti anni, ed una bambina la fa dondolare in alto, sempre più in alto, veloce, sempre più veloce. E per un attimo gli sembra di pulsare di nuovo per quella stessa sensazione di batticuore che provava ogni volta che la sentiva e la guardava ridere divertita. Con la testa reclinata sulla spalla destra guarda oltre la siepe, dove il lato opposto della strada è illuminato dalla luce fioca di un lampione, quando lo sguardo torna a posarsi sull’altalena e sui giocattoli tutto è sparito misteriosamente com’era apparso. Ed intanto una farfalla scura vola sulla mano che tiene poggiata sul ginocchio destro, mentre la mano sinistra continua a far rotolare la sigaretta fra medio ed indice dopo ogni boccata. E mentre il fumo scende lento chiude gli occhi. Il pensiero di essere incompreso lo assale, una sensazione di solitudine lo divora. Una boccata d’aria pungente gli gonfia il petto e si abbandona alla sua fantasia. Dolce rifugio per quanti sono prigionieri di una realtà che sentono non appartiene loro.
E quella musica che sembrava essersi affievolita nell’eco dei suoi pensieri torna vibrante. Sulle grandi ali della falena scura sembrano esservi due grandi occhi neri disegnati, intensi, così intensi da sembrare reali, così intensi da avere il dubbio di poter comunicare con loro. Con un colpo di ali si libra in volo, lo sguardo la segue per pochi istanti: in un baleno è confusa nel buio. Poco più in là, nella stessa direzione in cui quella sembrava essersi smaterializzata, una scala luminosa bianca inizia a prendere forma, gradino dopo gradino. Leggero gli sembra di alzarsi, attratto inspiegabilmente da quella luce quasi come se l’istinto ancestrale della falena che si era posata su di lui poco prima fosse stato trasferito in lui. Sale i gradini senza mai guardare in basso oltre il loro limite, prestando attenzione solo alle curve leggere che la scala gli pone davanti quasi attorcigliandosi su se stessa. Quando si ferma sull’ultimo gradino un sorriso si disegna sul volto ed un desiderio irrefrenabile s’insinua: allunga la mano, quello che tocca è una stella, sente le sue punte di luce pungergli le dita, il suo calore scaldargli la mano ed è come se potesse penetrare più in profondità. Guarda in basso e vede se stesso sorridente. E lì in alto il tempo ha perso la sua struttura, sgretolata in frammenti d’eternità.
Dal basso, ancora seduto sull’erba bagnata, si vede proteso verso l’ultima stella, quella che si vede brillare meno, eppure ora sa che è abbagliante e calda. Sorride. Ed una sensazione di pace lo pervade, si sente tagliato fuori da una realtà che non gli appartiene ma, forse per la prima volta, comprende la pienezza dell’essere al di là della comprensione di quanti applicano un’algebra lineare alle loro vite, ai loro pensieri, ai loro sentimenti, cosciente che solo un’anima profondamente complicata, fuori dalle logiche e dagli schemi comprensibili ai più può toccare il cielo con un dito in una notte d’inverno mentre rimane seduto ai margini di una società in continuo affanno. Chiude gli occhi. Si volta ad Ovest, li riapre: è ancora buio ma le tenebre sembrano dissolversi. Lentamente volta la testa ad Est: oltre la collinetta con gli alberi alti, la luce del Sole s’affaccia. Sorride di nuovo e lascia che quei raggi facciano chiarezza dentro di lui, cancellando le ombre degli ultimi fantasmi del passato e rischiarendo quei pensieri neri del presente fino a prendere nuovamente possesso di sé.

18 novembre 2009  23.23

sabato 13 febbraio 2010

Mystere et suspens

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine

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E riempio di inchiostro nero fogli bianchi sparsi perdendomi tra le lettere fluide che si trasformano l’una nell’altra per ricordarmi chi sono. Ed ogni tratto che aggiungo mi riporta alla memoria il ricordo lucido e talvolta bagnato di quello che è stato, di quando quel nome è scomparso e del momento in cui è riapparso con prepotente noncuranza. Et entre les mots, disegni che hanno sempre accompagnato i viaggi della mia fantasia, che la mia mano calca sul foglio, sfuggendo totalmente al controllo della testa troppo impegnata ad indossare le sue ali e librarsi in volo slanciandosi dalla realtà totalizzante. Fantastico rifugio di una mente stanca di sopportare il peso dei pensieri sempre troppo neri, schiacciata dai rimorsi, scacco di uno squilibrato egoismo.
E sono pagine su pagine che raccontano di me che solo io posso rileggere perdendomi tra quelle mancanze e quei bisogni sempre troppo grandi per me che sento il cuore stritolarsi ogni secondo di più, che vedo gocciolare a terra sangue misto a lacrime. E leggo di rimproveri a me stessa, di propositi sempre inosservati, di una me diversa che è apparsa in lampi di vita spentisi sempre troppo presto per afferrarla e lasciare che prendesse il posto della me logorata che continua a scrivere frastornata da se stessa nel tentativo di stabilire un ordine in un universo disordinato in continua espansione nella propria testa. Irrazionale, troppo, che brama di riprendere le fila di se stessa aggrappandosi ad una spinta razionale sufficientemente forte per ristabilire l’equilibrio senza cancellare tutto quel caos che, in fondo, ha sempre amato perché l’ha tenuta viva finora. Fragile, troppo, che non rinuncia a questa fragilità nonostante i tentavi di occultarla anche a se stessa perché di sé non è capace di buttare via nulla, neanche quello che è sbagliato perché convinta che sarebbe come tradire se stessa. Nostalgica, troppo, che così come non abbandona i lati sbagliati di sé non cancella i ricordi dolorosi convinta che siano l’unica cosa che rende forti, che continuano a riaffiorare graffiando con artigli appuntiti il cuore che ancora non è rimarginato. Disfattista, troppo, che archivia nuovi bei ricordi rielaborandoli fino a trasformarli in nuove ansie da aggiungere alle vecchie paranoie. Insicura, troppo, che scivola passo falso dopo passo falso, faute aprés faute, in inutili malintesi sotto i quali finirà schiacciata prima o poi.

02 settembre 2009 22.01

martedì 9 febbraio 2010

Istantanee

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine

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Due visi sorridenti stretti in un abbraccio, impressi su una carta lucida che assecondava lo sfavillio degli occhi del colore dell’ambra e sottolineava la brillantezza di un caldo sole straniero ed i riflessi della pelle dorata.
Guardava quella foto e mille immagini si sovrapponevano contemporaneamente a quella che aveva davanti gli occhi, confuse tra realtà e fantasia.
La violenta spuma bianca del mare che si infrangeva sugli scogli scuri e saliva alta sui gradoni di pietra della spiaggia affacciata sulla lunga costa e su un isolotto rigoglioso, contornato da strapiombi rocciosi e pendii chiari. Le onde che risucchiavano avide i bagnanti e poi, come soddisfatte dal piacere tratto, li respingevano lontani, scagliandoli sugli scogli. Le risate attorno ad un tavolino, i ricordi di tempi passati, le battute, l’alcool che aumentava l’allegria e lasciava sepolti nel profondo angosce, tormenti, paranoie ed inibizioni, ma anche capace di far riaffiorare tutto in superficie in un infinito attimo di puro smarrimento. Le lunghe passeggiate sotto il sole al suo picco, attratti da ogni scorcio caratteristico di strette viuzze in salita, e da ogni veduta in cui i raggi si riflettevano nel mare limpido. Le nuvole che assumevano, con la loro soffice consistenza, le forme più svariate che la fantasia sapeva disegnare senza foglio e matita. Forme che mutavano l’una nell'altra in una soluzione di continuo. I tramonti catturati dal piccolo molo affacciato sull'acqua cristallina che mostrava fiera le rocce ricche di ricci marini. Le stelle ammirate e rimirate sdraiati sulla spiaggia di ghiaia bianca, nella notte nera accompagnata dalla brezza fresca, così fresca che rendeva ancora più piacevole scaldarsi un po’. Baci e carezze spingevano a farsi rapire dalle calde e salate acque notturne nelle quali un bacio tirava l’altro, nelle quali era più dolce sprofondare tenendosi stretti l’uno all'altra, e risalire avvolgendosi nello stesso lunghissimo abbraccio con la testa poggiata sulla spalla dell’altro finché non avevano bisogno di incontrare nuovamente il fulgore appassionato e provocatorio negli occhi dell’altro. La paura di essere scoperti e il timore di non ritrovare più quanto si era lasciato sulla spiaggia sparivano al primo incontro tra le labbra salate, l’oscurità al di sopra e al di sotto diventavano ancora più complici. Le lingue s’intrecciavano, seguivano il profilo dei colli, delle orecchie inebriate dal sottile ansimare dell’altro, morsi stretti tra le labbra morbide, brividi che risalivano le schiene ed invogliavano a non fermarsi più. Le mani scivolavano in profondità e risalivano piano seguendo profili diversi di volta in volta, destando sensazioni sempre nuove. La biancheria scivolava di lato con movimenti bramosi come quelli che muovevano Lui dentro di Lei, mentre la Luna e le Stelle restavano a guardare.

11 agosto 2009 11.55

sabato 6 febbraio 2010

Un patto...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

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Heinrich Heine


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Chiuse gli occhi e si concentrò. Cercò nella Memoria Primordiale l’immagine di quel varco infuocato. Quando lo ebbe visualizzato provò uno strano senso di inquietudine misto ad un’angosciosa pace. Era cosciente di quanto stava per fare, lo aveva scelto dopo una lunga riflessione. Si avviò verso quel fiammeggiante ingresso all’orizzonte. Lo attraversò senza esitazione, reprimendo ogni idea che avrebbe potuto spingerla a tornare sui suoi passi.

“Sono qui per te.”

Quella nera figura che le si profilava davanti non corrispondeva affatto alle terrificanti descrizioni che aveva sentito di Lui. Continuò:

“Ho scartato ogni altra possibilità. Sei l’unica via che ho da percorrere.”

Il silenzio era tombale. Stranamente insolito per un posto così affollato. Udiva solo il crepitio generato dalle fiamme. Egli tardò a rispondere.

“E’ mia abitudine manifestarmi ai mortali, non essere richiesto.”

“Farai un’eccezione.” Disse decisa.

Egli sorrise diabolicamente.

“Sii cauta. Sai cosa posso?”

“Sì. Sei stato l’astro più splendente del Cielo e hai deciso di rinunciarvi. Puoi tutto, perché è questo che può chi rinuncia a tanto in nome della propria Libertà e della Conoscenza.”

“Adulatrice.” Sorrise malignamente.

Ricambiò con lo stesso sorriso. Proseguì:

“La mia Anima è sempre stata tormentata. Un requisito essenziale perché possa valere qualcosa fra le tue mani. Quando passerà a te non cambierà molto. Quello che ti chiedo è solo di trarmi in salvo da questo vortice di tormenti per qualche anno. Restituirmi me stessa per un tempo che sarà per te un baleno e per me una vita intera.”

“Se lo facessi e ti abituassi a non vivere nel tormento? Non soffriresti di più quando la tua Anima passerà a me?”

“No. Non potrò mai abituarmi a non vivere nel tormento. Sono cosciente del patto che voglio stipulare. Ogni momento di gioia e di pace sarà possibile solo perché ho apposto la mia firma sul Libro rosso che mi porrai davanti a breve. Consapevole di vivere emozioni vuote non potrò disabituarmi al mio male di vivere.”

“Ed allora vivrai peggio di quanto non stai già facendo.”

“No. Perché avrò ottenuto ciò che voglio. Io rivoglio indietro me stessa. Per avermi sono disposta anche a scendere ad un compromesso che implichi la perdita della profondità delle mie emozioni purché possa riaffacciarmi in superficie. Sono stanca di vivere sul fondo di me stessa. Ora voglio vivere in superficie, anche se implica vivere in apparenza.”

“Ti stai condannando ad un Inferno in terra.”

“Mi sto condannando a fare l’abitudine con quello che mi aspetterà dopo.”

“Cosa vuoi che faccia? Come posso restituirti te stessa?”

“Restituiscimi la voglia di fare, l’autodisciplina, gli interessi, la voglia di imparare e di migliorarmi, la capacità di reagire ai colpi della Vita e tutto quello che ho perso in questi anni lungo la strada.”

“Non ti vedi sconfitta nel chiedermi questo? Non credi che rivolgerti a me sia l’epilogo della tua disfatta? Avresti potuto ancora vincere la partita raccogliendo i tuoi pezzi lungo la via.”

“A volte bisogna accettare le sconfitte. Dopo aver provato a lungo a vincere la guerra senza essere riusciti ad avanzare nella direzione della vittoria si può chinare il capo ed accettare la realtà.”

In silenzio guardò la mano sinistra col palmo rivolto verso l’alto e da lì comparve un Libro rosso.

“Firmalo. La tua Anima sarà mia.”

Firmò.

Egli lo prese tra le mani ed appose la sua firma.

Mefistofele.

15 luglio 18.15

venerdì 5 febbraio 2010

Iris

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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“Non muoverti! Sto per raggiungerti! Allungherò il passo e tenderò la mano per sfiorare quelle tue delicate e portarti con me.
Sono così lontano eppure ti sento vicina, tanto che respiro già il tuo profumo.
Cammino, cammino, cammino… Le mie gambe stanche non reggono lo sforzo di una forsennata corsa verso la tua immagine di angelo bianco stagliata sulle colline verdi attraversate da un ruscello cristallino, ma posso costringerle ad affrettare l’andatura.
E’ una lunga distanza quella che ci separa ma sono pronto a percorrerla tutta, senza timori, senza sentire la fatica, spinto dal desiderio di stringerti di nuovo fra le mie braccia in questa notte stellata.
Sono guidato dal riflesso della luna sui tuoi boccoli biondi. Sto arrivando.
Ho cancellato gli ultimi ricordi di te per conservare i migliori nello scrigno che celo nel petto, li ho raccolti e ho steso su di loro un velo scuro così da confonderli nell’oblio dei sentieri della mia mente, così da non correre il rischio di incontrarli durante le mie lunghe escursioni nei vicoli della memoria. Le immagini felici di noi sono vive nel mio cuore e prendono forma davanti ai miei occhi ogni volta che la musica solletica le giuste corde, danzano sulle note degli accordi delle nostre anime infinitamente inseparabili, si levano in volo come farfalle colorate, vibrano come le corde di violino.
Ogni notte mi addormento solo e mi ritrovo a stringerti forte con infinita dolcezza, guardandoti dormire e respirare piano piano, stanca e felice dopo aver celebrato l’amore. Ogni notte desidero che non giunga l’alba successiva, che il Sole traditore abbia pietà e risparmi quel pallido riflesso di Luna che rischiara la tua candida spalla lasciata scoperta dalle lenzuola sottili. Ogni notte, inesorabilmente, svanisce nel chiarore del mattino.
Ma ora sei qui, davanti a me. Ora sto arrivando. Non posso più perderti. Sono vicino.
Sento che le gambe hanno riacquistato potenza, posso finalmente correrti incontro. Spalanca le tue braccia verso di me! Sono pronto a volteggiare a piedi nudi nell’erba per tutta la notte! Questa volta non ti lascerò andar via, non permetterò che tu abbandoni, di nuovo, la presa della mia mano concedendoti ad un Sonno più grande.
Ti stringo forte.”



“Cosa succede? Sento un vortice che mi inghiotte con enorme potenza! Mi strappa dal tuo abbraccio, mi allontana da te, non distinguo più i tuoi occhi di cielo, non più i tuoi capelli di raggi, non più il tuo abito di nuvola…!”



“Era solo un altro sogno. Un sogno in cui ho raggiunto il Paradiso per abbracciarla ancora, un sogno in cui sapevo di avere di lei solo i ricordi gioiosi e di aver cancellato quelli orribili. Ma era solo un sogno. Davanti ai miei occhi ho solo le immagini della fine, dal suo inizio alla sua conclusione. Solo immagini del suo sangue versato e della sua mano abbandonata d’improvviso tra le mie.”


4 luglio 2009 0.05

sabato 23 gennaio 2010

Prologo di un cavaliere nero e di una strega gialla...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Decise di non riuscire più ad attendere oltre. Doveva trovare il modo di silenziare quei rumorosi pensieri contrastanti che lo perseguitavano da qualche tempo. Doveva scoprire l’arcano che lo induceva a comportarsi e pensare come non era solito fare ormai da anni, da quando si era ripromesso di non provare più alcun Sentimento verso alcuno, non Amicizia, non Amore.

Ordinò allo scudiero di sellargli il cavallo e ben presto fu pronto a montarvi. Risoluto si diresse verso il bosco, in breve giunse al sottile ed incantato sentiero di ciottoli neri che taglia orizzontalmente tutta quell’immensa distesa di alberi e lo attraversò per ritrovarsi nella Foresta Stregata.
Costringeva il cavallo a galoppare sempre più rapido via via che si avvicinava all’ultimo albero, passando indenne davanti ai diversi inganni e alle tante illusioni che confondo i sensi degli umani per proteggere l’unica abitante di quella vasta successione di rami e foglie secche, prima di ritrovarsi in un fitto bosco verde, anch’esso incantato. Scese da cavallo.

Irruppe con passo deciso nella stanza illuminata dal pallore lunare che penetrava dalle bifore di pietra.

“E’ un tuo sortilegio, orribile strega, che mi ha condotto fin qui! Non vedevo altro che i tuoi occhi nelle immagini che elaborava la mia mente. Un susseguirsi di sguardi suadenti e languidi e battiti di ciglia.”

Lei, in piedi davanti al Libro degli Incantesimi, si voltò lentamente, quasi come quel ruggito che aveva raggiunto le sue orecchie fosse un tenue bisbiglio.

“Je ne t'ai pas lancé quelque-un sortilège. Quel but j'aurais eu?”
“Non ti ho lanciato alcun sortilegio. Quale scopo avrei avuto?”

“Tu, malefica bugiarda, hai uno scopo che non conosco ma che, di certo, esiste e per perseguirlo ti servono i miei servigi ed il mio potere.”

“Je ne sais pas qu'en me faire de tes services et de ton pouvoir. Je peux vibrer les ailes des puissants Arts Obscurs chaque fois que je désire. Tu es arrivé jusqu'ici, à moi, parce que tu as voulu que ton noir destrier te menât à mon château. »
“Non so cosa farmene dei tuoi servigi e del tuo potere. Io posso vibrare le ali delle potentissime Arti Oscure ogni qualvolta desidero. Sei giunto fin qui, a me, perché hai voluto che il tuo nero destriero ti conducesse al mio castello.”

“Come osi insinuare che io sia venuto qui per mio desiderio? Sono qui per te, è vero, ma non per mio desiderio.”

“Est-ce que tu vois ces miroirs noirs au bout là? Je suis apte à les lire, ils me racontent ce qu'il y a dans la profondeur de l'âme de qui réfléchit la propre image là. »
“Vedi quegli specchi neri lì in fondo?Io sono in grado di leggerli, essi mi raccontano cosa c’è nel profondo dell’animo di chi vi riflette la propria immagine.”

“E con ciò?”

“Avec ceci je te dis que tu es ici pour moi parce qu'une partie de ton coeur noir en chaînes achète les couleurs du rouge et elle élargit les tricots. »
“Con ciò io ti dico che sei qui per me perché una parte del tuo cuore nero in catene acquista le tinte del rosso e allarga le maglie.”

“Cosa vorresti insinuare?”

« Absolument rien. Ils ne sont pas des insinuation celles que je lis dans le miroir, seulement vérité. Tu es ici parce que mon coeur t'as mené ici, mais sans quelque enchantement. »
“Assolutamente nulla. Non sono insinuazioni quelle che leggo nello specchio, solo verità. Tu sei qui perché il mio cuore ti ha condotto qui, ma senza incantesimo alcuno.”

“Taci! Odo una melodia familiare, eppure al mio castello non hanno accesso i musicanti, non vi è possibilità alcuna che io l’abbia potuta già ascoltare.”

“Pourtant tu n'erres pas »
“Eppure non erri.”

“Un altro tuo sortilegio?”

"Pas du tout! Cette musique vient d'un autre monde. Un monde dans lequel une sorcière jaune et un cavalier noir ont commencé ainsi. »
“Affatto! Questa musica viene da un altro mondo. Un mondo in cui una strega gialla ed un cavaliere nero hanno iniziato proprio così.”


20 giugno 2009 21.39

mercoledì 20 gennaio 2010

Away from the sun

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Incredula nel vederti così vicino a me davanti a questo altare nel tuo abito nero mi perdo nei tuoi occhi che brillano per un'emozione che non avresti mai creduto potesse rapirti.
E respiro il profumo delle rose rosse che adornano questo luogo sacro, e le respiro come fossero più profumate di quelle che eri solito regalarmi cogliendomi di sorpresa nei miei giorni più tristi donandomi la cosa più preziosa: un caldo sorriso, con un fiore.
E sorriso anche ora, guardandoti vestito così elagantemente, tu che sei sempre stato contrario a certi cerimoniali ma sei qui davanti ad un altare ed un prete in attesa, nel tuo abito scuro con la camicia bianca perfettamente inamidata con il colletto cinto dalla cravatta senza aver ancora imparato ad annodarla. E anche questo mi fa sorridere.
E abbasso lo sguardo sulle tue mani osservando divertita come tu non sappia trovare loro la giusta collocazione e ti accontenti così di intrecciarle davanti a te muovendo i pollici nervosamente. E le immagini delle tue carezze, delle tue mani sulle mie sempre fredde, sui miei fianchi e sul mio seno, delle tue dita sul mio collo a seguirne il profilo, si affollano nella mia mente. Ed un brivido risale dal basso e sono costretta a chiudere gli occhi per trattenerlo in me, per poterlo provare ancora e ancora, impedendo che fugga via. Quando li riapro torno a posarli sul tuo viso ed è incantevole essere spettatrice della tua gioia, tanto da farmi male, da stringere il cuore in una morsa di spine che lo trafiggono in ogni parte. E ogni goccia che cade a terra frantumandosi libera un ricordo per ogni tuo sorriso, per ogni momento trascorso sereni, per ogni volta che, trasportato dall'entusiasmo, mi hai sollevato in aria ridendo. E mentre riapro con la mente la scatola dei nostri ricordi e sogno ad occhi aperti di te e di me, suona la marcia nuziale e tu ti volti dirigendo lo sguardo sul fondo della navata centrale dove appare lei, sotto il braccio paterno, in abito bianco, bella da lasciare a bocca aperta, con i capelli neri raccolti in un elegante chignon. Lentamente ti raggiunge mantenendo i suoi occhi nei tuoi ed io mi sento mancare il fiato ed inspiro forte desiderando un appiglio per non crollare. Ti porge la destra perché l'aiuti a salire il basso gradino dell'altare ed ora è lì, accanto a te. Lei.
Mentre io sono qui alla tua destra, vicina ma infinitamente lontana, a testimoniare la vostra unione, sperando che ancora possa avvenire qualcosa. Combattuta tra la gioia di vederti felice ed il dolore di dover apporre la mia firma sul vostro contratto quando le avrai infilato la fede al dito. E forse il mio sorriso scompare al termine della marcia nuziale.
Ed inaspettatamente ti giri verso di me, mi guardi e le mie labbra si schiudono in una frase afona:
"Ti amo"
E tu, come mi guardi tu ora?