sabato 25 settembre 2010

Carillon

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj


"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


...Inizia a leggere dopo aver avviato il video e dopo l'intro...



Ho trascorso tutta la notte seduto sul freddo pavimento di marmo rossastro della nostra camera da letto, con le gambe incrociate, la schiena poggiata al letto, a guardare ed ascoltare il suono del carillon di legno, caricandolo ogni volta che la musica finiva. Rapito dalla meraviglia di quel piccolo oggetto capace di donarmi un’apparente serenità. Tutti quei brutti pensieri nella mia testa, attenuati dall’armoniosa melodia proveniente da un semplice ingranaggio. Eppure, per quanto tenui sembrassero, li ho pensati tutta la notte, senza elaborarne davvero uno. E’ come se aleggiassero sempre indefiniti ed irrisolti sopra la mia testa ed io ne sentissi il peso in ogni momento che trascorro da solo con me stesso e con la compagnia di chi non soddisfa il mio esigente Ego. Non desidero altro che alleggerire quel macigno.
La musica di questo carillon ha riempito i miei vuoti questa notte, ma non appena verrà il giorno e dovrò rinunciarvi il vuoto m’ingoierà da dentro, di nuovo, e così, per non esserne divorato mi appiglierò a qualcos’altro fuori da me, perché in me non trovo capisaldi per resistergli. In me non esistono passioni ed interessi così grandi da spingermi a superare l’apatia che, giorno dopo giorno, nutro con la sospensione della mia volontà di agire, si tratti anche di agire per le piccole cose quotidiane. Ogni attimo passato da solo si riduce alla soppressione dei miei assilli attraverso un bombardamento di suoni, dallo stereo, dal televisore, dal computer, che si ripetono infinitamente finché non riesco a trovare un altro essere umano disposto a salvarmi da me stesso. Troppo spesso è lei. Non è giusto. Lei non dovrebbe sentirsi obbligata a salvarmi ogni volta, ed è meschino il mio comportamento nei suoi riguardi: non dovrei chiedere, spero solo di non pretendere. Non so se ci sono veramente altri, nella mia vita, che potrebbero salvarmi da me stesso, forse sì, ma non riesco a fare a meno di pensare che il mio rapporto con loro non è come desidero che sia. Forse il problema è solo dentro di me: non sono capace di stabilire rapporti autentici con le persone giuste perché quelle che reputo giuste per farlo, in realtà, non lo sono. O, forse, il problema è semplicemente che io conto davvero troppo di non sentirmi solo quando, invece, essere soli è parte integrante della vita.
Ad ogni modo stanotte cerco una ragione per tutto questo e non la trovo, rimango qui anestetizzato dal suono del carillon. Scatto in piedi. Stanco di aspettare. Stanco di piangermi addosso. Stanco di elemosinare attenzioni. Stanco di essere schiacciato dall’apatia. Mando in frantumi questo posto. Giù i libri dalle mensole. Giù i profumi dal comò. Piccoli frammenti di vetro schizzano. Infrango con un pugno lo specchio. Il sangue cola giù dalle nocche ancora chiuse in una stretta dolorante. Con tutta la forza che ho riverso a terra in un colpo solo lo scrittoio. Calcio la sedia fino a farle raggiungere la porta. Strappo le tende tingendole di rosso sangue. Urlo. E’ notte. Lei non c’è. Stavolta bado da solo a me stesso. Ho salvato solo il carillon che ancora suona: non so se sia stato saggio averlo fatto.