lunedì 26 dicembre 2011

Il Giardino ed il Sole - qualcosa che non avrei dovuto scrivere, forse.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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C’era una volta un Giardino, troppo spesso adombrato, colmo di tanti fili d’erba, fiori ed alberi da frutto che luccicavano e gioivano solo quando si affacciava il Sole.

C’era un tempo in cui il Giardino attendeva con ansia l’arrivo del Sole perché questo, illuminandolo, gli donava nuova linfa ed ogni cosa in lui cresceva tanto da dargli l’impressione che, se il Sole avesse continuato a sorgere, si sarebbe potuto estendere oltre i propri confini. Ma quando il Sole andava via ed il Giardino ripiombava nell’oscurità, di colpo e per qualche istante o più, perdeva di vista il senso profondo del calore del Sole su di lui e rimaneva imbrigliato nella rete tessuta dall’ombra. Una rete di paure ed incertezze che tentavano il Giardino di dimostrarsi all’altezza della sfida, senza rendersi conto che la sfida l’aveva lanciata lui stesso. E così giocava con l’ombra con le meraviglie che aveva da offrire, sapendosi porre un limite. Lo riconosceva da solo perché si rendeva conto di quanto tutto ciò che poteva trovare di interessante nell’ombra non fosse all’altezza delle stupefacenti sensazioni che provava ogni volta che veniva raggiunto da un singolo raggio di Sole. Ma nel buio, forse il più delle volte, si perdeva al di là delle proprie sfide e cominciava a dubitare di se stesso e a chiedersi come mai il Sole avesse, un giorno, deciso di iniziare a splendere su di lui. Inquietudine dopo inquietudine il Sole sorgeva di nuovo e placava ogni tormento.

Venne un tempo in cui il Giardino, sempre più attratto dall’ignoto dell’oscurità iniziò a volerlo guardare più da vicino, a volerne sperimentare sempre più, non rendendosi conto di quale grande potere confusionale aveva operato il buio su di lui. Era così teso verso l’obiettivo della conoscenza dell’oscurità che sentiva il peso del Sole che gliela portava via, convinto di poter trovare in essa tutte le risposte, persino su di sé. Fu così che chiese al Sole di smettere di splendere su di lui, ed il Sole, a malincuore, accettò.

Ma il mondo nell’ombra non era ciò che il Giardino si aspettava, ben presto, senza il Sole, tutte le sue meraviglie cominciarono ad appassire e la confusione generata dall’oscurità, una volta che si fu abituato a questa, si diradò come nebbia. Iniziò a sperare che il Sole tornasse a splendere su di lui, ma così non fu.

Il Sole, infatti, può decidere tante cose: di non splendere come ha sempre fatto, può brillare di meno su certi luoghi o non brillare affatto, può essere pallido e distante all’occorrenza, sebbene con enormi sforzi perché, in fondo, la sua natura è quella di emettere luce. Il Giardino commise l’errore che ogni creato compie almeno una volta: pensare al Sole come dato per scontato, aspettandosi sempre che sorga giorno dopo giorno, pressappoco uguale a se stesso e che sorrida se lo si desidera e si adombri quando lo spirito non può sopportarne la luce intensa. Ogni creato commette lo stesso errore dall’inizio del Tempo e continuerà a commetterlo fino alla fine, un po’ per sua presunzione, un po’ perché il Sole, che ama le sue creature, alimenta l’illusione di assecondare sempre il loro volere.

Il Sole passò tanto tempo a splendere lontano dal Giardino, concentrandosi su altri fili d’erba, brillando su laghi, fiumi e ruscelli, scaldando gli animali e nutrendo i campi degli uomini, però, sebbene queste riscoperte occupazioni sembravano tenere il pensiero sufficientemente lontano dal Giardino, egli sapeva che, come tutto nell’universo, non può dominare i suoi desideri, che si manifestano come raggi e, si sa, ai desideri ci si può opporre fintantoché loro non hanno la meglio e possono intraprendere la direzione ambita senza alcun consenso della ragione.

“Oh I'm on my way, I know I am, somewhere not so far from here
All I know is all I feel right now, I feel the power growing in my hair
Oh life is like a maze of doors and they all open from the side you're on
Just keep on pushing hard boy, try as you may
You're going to wind up where you started from
You're going to wind up where you started from”

venerdì 21 ottobre 2011

Senza ragione

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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“Non c’è ragione per cui le cose stiano così, potrai passare tutti i giorni della tua vita di fronte a questa finestra a chiederti perché, senza che cambi alcunché.”

“Non c’è ragione per cui le cose stiano così, ma devo trovare una spiegazione accettabile che mi consenta di andare avanti. Non mi bastano le omelie di questi giorni in cui mi è stata offerta una ragione spicciola ed illusoria.”

“Ma se anche tu trovassi un motivo, non cambierà quello che è successo.”

“Devo trovare una ragione a cui appigliarmi, non capisci? Devo trovarla perché non ho più lacrime da versare e senza quelle ora non so che fare; colmavano il silenzio che c’è da quando è andato via, mi bagnavano il viso e, se chiudevo gli occhi e lo immaginavo vicino, avevo l’illusione del calore della sua bocca sulla mia guancia lì dove le lacrime solcavano il viso, sempre più giù, vicino alle mie labbra. Non ho più lacrime e non so cosa fare di me senza di loro. Ho bisogno di un motivo, di credere che una ragione c’è per potermi svegliare anche domani e non trovarlo nel letto.”

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“Sono venuto a trovarti per portarti una torta.”

“Grazie. Poggiala sul tavolino, la mangeremo a momenti: sta per tornare a casa.”

“Mi piace vederti sorridere. Ma lui non tornerà, lo sai. Lo aspetti ogni giorno da dieci anni, non sei neanche più a casa tua, non te lo ricordi?”

“Davanti a me vedo te, e dietro di te la finestra che affaccia sul giardino con i peschi in fiore e, al suo fianco, il tavolino su cui lui poggia sempre le chiavi ed io mi siedo a scrivere il mio diario; dall’altra parte della stanza ci sono i quadri che abbiamo dipinto insieme, l’ultimo lo abbiamo appeso ieri, come puoi dire che non sono a casa mia?”

“Sulla parete non c’è nessun quadro, e sotto la finestra di questa stanza non c’è alcun giardino. Mi dispiace dover essere sempre quello che cerca di riportarti alla realtà, ma non puoi continuare a vivere così, hai buttato via la tua vita da quando lui ha perso la sua.”

“Ma di cosa parli? Qui nessuno ha buttato via o perso qualcosa. Vedi come sorrido a questa vita? Questa vita ricca di cose meravigliose che vedo nella mia testa, di momenti magici che trascorro con lui, del calore del suo abbraccio che solo io posso ricevere, delle sue parole che solo io posso intendere, di tutte le notti in cui, poggiando la testa sul cuscino, mi giro e lo trovo al mio fianco e sposto la mia testa sulla sua spalla e rimango rannicchiata su di lui tutta la notte ed ogni mattina mi sveglio e gli sorrido quando apre gli occhi. Come puoi dirmi che ho buttato via la mia vita? Io sto vivendo esattamente la vita che volevo vivere. Ringrazio il cielo, il fato o Dio, se esiste, per non aver trovato la ragione che cercavo tanti anni fa. Se l’avessi trovata non mi sarei rifugiata dove sono ora, dove c’è lui.”

“...”

“Ti lascia senza parole il fatto che io abbia idea che esiste una realtà diversa da quella che vivo quotidianamente, ma che vi ho volutamente rinunciato per continuare a stare con lui?”

“No... so che tu non dovresti trovarti in questo posto, ma non posso cambiare le cose finché non deciderai di tornare nella realtà che rifiuti, quella in cui lui non c’è e il vostro contatto sarebbe limitato ai tuoi omaggi floreali sulla sua tomba...  Ma, forse, tu hai ragione a voler rimanere dove sei, a vivere la vita che avevi scelto e che, senza ragione, ti è stata strappata. Voglio vederti solo sorridere.”

“Io sorrido sempre da quando lui è tornato indietro e posso stringerlo ancora a me giorno dopo giorno.”

“Mangia la torta, vado a parlare con il dottore.”

venerdì 30 settembre 2011

Clevermind

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Seduto a guardare il panorama che scorreva rapido oltre il finestrino del treno che cambierà la mia vita mi sono congedato dai miei assilli per un intero viaggio, senza pormi domande ho assaporato il gusto della pura curiosità, dello scoprire cosa c’era oltre ogni albero che il convoglio superava a tutta velocità e di cosa mi attendeva alla fine del viaggio e se qualunque cosa fosse apparsa ai miei occhi sarebbe stata paragonabile a quanto fantasticavo.

Questa mattina, alle prime luci dell’alba, dopo una notte insonne trascorsa immobile nel mio letto, i raggi del sole entravano attraverso gli spiragli della persiana e mi sono voltato a guardarli, stanco, ma non a causa del mancato sonno piuttosto per tutto quello che la mia vita non era. Ho guardato il nuovo sterile giorno che arrivava e ho deciso con un impulso di collera che non ne sarebbe nato neanche più uno, sono balzato in piedi, sono corso a prendere un borsone e senza guardare ho buttato dentro abiti e qualche libro a caso, sono uscito di casa diretto alla stazione con il volume della musica al massimo, bombardandomi il cervello di note potenti, con gli occhi bassi ho attraversato la stazione, per non guardare alcun tabellone delle partenze, alla biglietteria ho chiesto di stamparmi il biglietto con il più alto chilometraggio, sarò sembrato un pazzo ed all’insistente domanda della giovane impiegata sul perché ho risposto che avevo bisogno di andare il più lontano possibile e lei non ha più chiesto nulla, mi ha guardato e mi ha sorriso comprensiva e allo stesso tempo affascinata, sono arrivato di fronte ai binari e ho raggiunto una posizione centrale, ad occhi chiusi ho girato su me stesso tre volte e poi li ho aperti, sempre a testa bassa, per non guardare la destinazione del treno che il caso aveva scelto per me.
Ho lasciato tutti, non sono rintracciabile, sono l’unico a sapere dove mi trovo in ogni istante, ho rinunciato al mio lavoro senza dare neanche uno straccio di dimissioni, non ho chiuso a chiave la porta di casa, se qualcuno volesse potrebbe rubare tutto e non mi importerebbe nulla ora come ora, non ho salutato i miei amici né i miei parenti né la mia compagna e non provo alcun senso di colpa per questo, sono estasiato dal senso di libertà assoluta. Mi esalta questo impulso, mi esalta il fatto di riuscire ancora a provarne, mi lascia credere che non è ancora tutto perduto, che posso ancora realizzare qualcosa per me stesso con i miei giorni. Non mi spaventa minimamente l’idea di finire chissà dove, in un posto dove non conosco nessuno, dove non ho un lavoro, non ho un tetto, potrei perfino non conoscere la lingua, con un budget limitato a quanto avevo disponibile in casa al momento della mia partenza e a quanto riuscirò a prelevare nei prossimi giorni dal mio conto in banca, prima che questo venga controllato a seguito della mia improvvisa ed inspiegabile sparizione, ma a quel punto io mi sarò già spostato.
Voglio abbandonare tutte le mie incertezze, tutte le mie paure, voglio costruirmi perché finora non l’ho fatto, ho accettato passivamente gli eventi e le casualità, mi sono lasciato plasmare da loro morendo dentro sempre un po’ di più di volta in volta. Esigo da me stesso che questa esperienza esorcizzi le mie paure, guarisca le mie ipocondrie, mi faccia agire invece di continuare a stare fermo sullo sfondo come spettatore della mia stessa vita. Ho dovuto staccare completamente, rinunciare a tutto perché l’unico modo per costruirmi è reinventarmi, è essere attore, impersonare qualcuno totalmente diverso da me, un uomo sicuro, pragmatico, razionale, con voglia d’agire ed attivo, che non si tira mai indietro, un uomo coraggioso e non condizionabile dagli altri.

sabato 24 settembre 2011

Vittima e carnefice.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Perduta nel tempo, brancolante tra i secondi che scorrono sempre più rapidi e poi, d’improvviso, decelerano tanto da sentir gravare sempre più sulle spalle quel tempo buttato. Ricorrono nella mente pensieri ossessivi, eco di frustrazioni. Come la frustrazione per le pagine lasciate bianche da tanto tempo. Razionalità prescriverebbe di riempirle ed archiviare così la cosa. Ma ogni frustrazione, si sa, è figlia e madre. Razionalità non lo sa. Lei è al di fuori dei circoli viziosi, segue Logica, che è lineare. Io, io conosco bene Razionalità, Logica ed Emotività. Ho permesso loro di prendermi a braccetto tante volte ed ho assistito a tante loro guerre, tutte combattute nella mia testa, dove si contendono il dominio dei miei pensieri e, posso dire, da spettatrice, che un motivo esiste se Emotività si batte da sola contro due validi avversarie: ha più armi per dominarle, come il lazo dei circoli viziosi, appunto. Stordisce con sentimenti ed emozioni contrastanti, senza addurre spiegazione alcuna per ciascuno ed il suo contrario, così che Razionalità e Logica non abbiano strumenti per attaccarla al di fuori dello sterile ed altrettanto non argomentabile “Non ha senso, o è l’uno o è l’altro, non puoi ritenere contemporaneamente vera un’emozione ed il suo contrario.” “Ed invece è così” – risponde quella. Sterile, tutto. Ne hanno per ore, giorni, mesi o anni, quando cominciano a scontrarsi su qualcheduna delle mie idee o emozioni. Ed io rimango in sospensione di giudizio su quel pensiero per tutto il tempo in cui loro dibattono e, così, Emotività ottiene una nuova vittoria: genera altre ansie che mettono al mondo nuove frustrazioni che accudiscono la mia depressione, perché possa trovare sempre un giaciglio confortevole in cui continuare a risiedere. E per quanto, talvolta, io fornisca armi di contrabbando a Razionalità e Logica, Emotività, con le sue sole forze, riesce a protrarre sempre la battaglia, talmente a lungo che io continuo a rimanere ferma. Il tempo scorre, inesorabile, senza che io abbia compiuto alcuna azione. Rimango immobile. Per tutto. Per tutti. O meglio: per tutto e per tutti per come la vedo io, che sono dentro di me e, di conseguenza, l’unica a poter sapere davvero come stanno le cose; so per certo che chi è al di fuori di me non riesce a vedere questa immobilità o, al più, ne vede solo una parte perché coglie alcuni dei tentativi di agire che attuo, e li interpreta come un mio moto durevole, che si affievolisce di tanto in tanto, forse per stanchezza, ma che non scompare. Ma questi tentativi, io so non essere assolutamente sufficienti per sovvertire la mia condizione. Per contrastare l’immobilità verso tutto, a dire il vero, non faccio molto, perché è la cosa su cui quelle tre si scontrano di più: il loro terreno di guerra più fertile è, senza dubbio, il mio rapporto con la Vita ed il Mondo, quindi di base il rapporto con me stessa. Ed essendo tali argomenti motivo dei loro più lunghi dibattiti, io non riesco quasi mai ad agire per me stessa verso il tutto. Per contrastare l’immobilità verso tutti ho un più ampio margine d’azione. Dibattono meno su quello. Quando rimango ferma verso tutti, è perché Emotività ha trovato il modo di inserire nel discorso sulle mie azioni verso gli altri qualche congettura che riconduce a me, e da qui seguono battaglie ancora più aspre delle precedenti, perché coinvolgono “tutti e tutto”. Ma il vero nodo della questione dell’immobilità quasi assoluta verso tutto e della maggiore attività verso tutti risiede sempre nelle capacità di Emotività. Un’altra sua vittoria: l’indurmi ad occuparmi di ciò che è altro da me per sentirmi appagata, ma soprattutto, diabolicamente da parte sua, per tenermi lontano dalle battaglie che conduce su di me, cosicché io non abbia modo, stufa delle sue vittorie, di schierarmi con Razionalità e Logica. Mi lascia fuori, a non occuparmi di me e con l’atroce dubbio che, l’occuparmi degli altri, quelle volte in cui riesco a farlo, siano frutto di puro egoismo, unicamente un modo per fuggire da me stessa e questo le offre ulteriori spunti per ingabbiarmi nelle mie ansie e paranoie, buttandomi sempre più giù, lasciandomi sempre più inorridita da me stessa e sempre più vulnerabile ai suoi attacchi. Le volte in cui, invece, vorrei occuparmi dell’altro da me ma sono immobilizzata dalle guerre che si consumano nella mia testa, Emotività sfodera l’altra sua arma, quella del senso di colpa che porta con sé spiacevoli sensazioni come l’inadeguatezza. E così io rimango, comunque, sua vittima, immobile o meno. 

venerdì 8 luglio 2011

My sunshine

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Mi mancano le parole eppure sento il bisogno urgente di scrivere, non solo perché è da tanto tempo che non poso più la penna sul foglio, ma soprattutto perché, al pari dei fatti, le parole servono tanto: descrivono circostanze, persone, chi ne fa uso, le sue emozioni, i suoi pensieri. Basta saperle utilizzare, fatto non del tutto scontato.
Personalmente sono sempre stata attratta dall’esercizio di comprendere, o almeno di tentare, la profondità dell’anima, ed avendo le finestre spalancate direttamente solo sulla mia, solitamente, mi occupo di questa. E per farlo ho sempre pensato tanto, alcuni, coloro che hanno avuto la pazienza di avvicinarsi a me ed io ho lasciato fare, non senza diffidenza, dicono che penso troppo, speculo su me stessa, sui perché, che cerco ragioni ed ogni risposta genera solo altre domande, sempre più grandi e più in profondità, al punto che ogni piccolo pensiero finisce col prendere la forma di un Inferno Dantesco al contrario, perché i pensieri, come i gironi, si allargano via via, approfondendosi sempre di più. Tutta questa speculazione si limita però al pensiero, quasi mai seguono azioni concrete volte a cambiare l’ordine delle cose, e il più delle volte non è accompagnata da alcun discorso, perché il pensiero prescinde dalle parole, ed inoltre è molto più semplice pensare e basta, saltare da pensiero a pensiero come Tarzan con la liana, e qualche volta oscillare, senza far seguire parole. E così io penso. Spiegare mi risulta difficile, le parole non le so usare, eppure continuo a scrivere, forse perché sono fondamentalmente incoerente: sono dell’idea che se una cosa non la sai fare e lo riconosci da te, o provi nel buio della tua camera a migliorare, oppure non ti metti in piazza a mostrare i tuoi mancati capolavori. Eppure io continuo a scrivere e a farvi leggere ciò che scrivo. Fortuna che siete in pochi ed il danno è contenuto. Ma dove voglio arrivare? In realtà da nessuna parte. Quello che ho scritto fin qui, e quello che seguirà, per molti sarà solo uno dei miei esercizi, ma per me e per qualcuno molto sveglio, avrà tutt’altra valenza.
Questa mattina ho aperto gli occhi, riavendomi dal torpore del sonno, ho elaborato un’emozione. Quell’emozione che sale quando apprezzi qualcosa di estremamente grande nella sua semplicità. Diciamo, tanto per fare un esempio lontano, come quando ogni mattina ti svegli nello stesso abbraccio della notte prima. Ma le emozioni e le sensazioni piacevoli nella mia testa durano sempre troppo poco perché inizio immediatamente a pormi domande, e l’unico modo per fermarle è trovarsi nella fortunata circostanza di essere con qualcuno molto acuto e verso cui nutro profonda stima ed affetto che risponda per me alla domanda più opprimente fra tutte in quel momento e così qualcosa succede dentro di me: le catene dei miei ragionamenti si spezzano e cadono in terra e di colpo si solleva il velo che fino ad allora copriva tutto quello che ho dentro e qualcosa si rivela di nuovo, forte com’è sempre stato, anche quando lo sentivo poco attraverso il velo, e mi fa stare così bene, tanto da potermi ritrarre viva e felice, tanto che adesso lo devo scrivere, perché, per una volta, voglio raccontare qualcosa di bello. E nella mia vita una cosa veramente Bella, con la B grande, c’è, qualcosa che, se non s’immischia il mio diffidente e volubile inconscio, mi fa sentire Viva, con la V grande, nel bene e nel male, e parte di qualcosa che cresce e si trasforma guardando sempre al meglio e di cui sono profondamente orgogliosa.

lunedì 30 maggio 2011

SensAzioni...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


Respirami
come fossi aria frizzante
Inebriati di me
come fossi un profumo di primavera
Accarezzami
come fossi un petalo della più bella rosa
Ascoltami
come fossi un’armoniosa melodia
Ma soprattutto
Guardami
come fossi la più controversa delle opere d’arte.


10 Giugno 2008

Emozione

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine




Nottetempo c’è chi vaga nel buio,

c’è chi si rigira nel letto in attesa dell’abbraccio di Morfeo,

c’è chi si ama, ci sono respiri affannosi, baci rubati, baci non dati, parole sussurrate,parole non dette,

pensieri che vagano, pensieri che si spengono.

La notte è ancora nostra e possiamo viverla.

Nottetempo ci sono visioni che ti rapiscono,

paranoie che ti inseguono,

brividi che salgono,

cuori che si infrangono,

dolori che ti schiacciano,

sogni che s’estinguono.

La notte è ancora Buio e lo fuggiamo una volta in più.

Ma presto o tardi Rischiarirà, la Luce s’affaccerà,

l’inquetudine non si dissiperà ma il coraggio, forse, si farà strada poco a poco e

allora, forse, cammineremo nelle strade al pallido chiar di Luna con le mani e le gambe tremanti per

un’emozione sconosciuta.



6 Gennaio 2008 


sabato 28 maggio 2011

Le parole sono importanti, come te.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Vorrei scrivere ogni volta che ne ho voglia. Lo vorrei davvero, ma poi mi mancano le parole. Le immagini, invece, quelle no, sono sempre davanti ai miei occhi. Mi capita di camminare per strada e, quando soffia il vento, guardare il mondo a rallentatore, come in quelle scene dei film in cui la tristezza o la nostalgia regnano sovrane e le inquadrature si susseguono con effetti di dissolvenza le une nelle altre. Più di rado i film girati con la regia della mia immaginazione sono cortometraggi di immagini felici. In ogni caso, tristi o felici, mi piacerebbe catturarne una, farle raggiungere il mio angolo più profondo, lasciarla lì quel tanto che basta per sentirla mia e solo mia, perché mi sussurri le parole che cerco quando meno me l’aspetto. O, ancora meglio, mi piacerebbe che ogni immagine fosse un seme che, tenuto al buio, germina e si trasforma in una vigorosa pianta e che su ogni foglia fosse scritta una parola, quella parola che cerco ma non trovo mai, così potrei coltivare un giardino di parole. E allora non mi mancherebbero più. Forse. Dico forse perché la sensazione adesso è quella di aridità e su un terreno arido non nasce niente. E così mi riduco a sperare che il cielo che, provocatoriamente forse, sta sempre lassù mi caschi addosso perché, in quel modo, qualcosa dentro di me dovrà scuotersi, una zolla dovrà rigirarsi, e, magari, dopo quella un’altra e un’altra ancora e allora potrò arare il mio campo ed iniziare a collezionare semi di alberi di parole.
Eppure, più mi mancano le parole, più sento l’urgenza di scrivere, non solo perché è da tanto tempo che non succede, ma soprattutto perché, al pari dei fatti, le parole servono tanto: descrivono circostanze e persone, ma, ancora di più, descrivono chi le usa, le sue emozioni ed i suoi pensieri. Basta saperle usare, che non è del tutto scontato.
Oggi ho messo a fuoco un pensiero, qualcosa che è sempre stato dentro di me ma che è nato nella sua forma più cosciente e definita solo questo pomeriggio. Bisognerebbe vivere sempre come se fosse l’ultimo giorno perché, se lo facessimo, avremmo il coraggio sufficiente per arrivare alla fine della nostra giornata avendole dato un senso e, soprattutto, se quello fosse davvero l’ultimo giorno e ci fosse dato saperlo non appena sorge il sole, sono sicura, ognuno rifletterebbe sulla propria vita e realizzerebbe che ha usato le parole di meno o di più di quanto avrebbe voluto con qualcuno. In realtà il mio pensiero scaturiva dalle parole che spesso non abbiamo il coraggio di dire o, almeno, io non ho il coraggio di dire. Io non voglio arrivare all’ultimo giorno ed avere il rimpianto di non aver detto tutto. Il mio blocco più grande è sempre stato nel far capire agli altri quanto ci tenga a loro. Le parole mi si bloccano in gola, le guance si fanno rosse e calde e neanche i gesti d’affetto mi riescono naturali come vorrei. Tuttavia rimango convinta che bisogna in qualche modo sempre manifestare il proprio affetto e il proprio amore per un altro, e allora, per questo, a volte, ti stringo più forte del solito nella speranza di placare ogni tua inquietudine, ti bacio come se fosse l’ultimo bacio che continuiamo a rimandare, con le mani che stringono il viso dell’altro avvicinandolo sempre di più, come se volessimo proiettare le nostre anime l’una nell’altra per raggiungere un livello superiore di comunicazione, e riesco ad usare le parole affettuose che meriteresti di sentire più spesso, soprattutto.

Il Destino (non) è (ancora) (già) stato scritto

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

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Heinrich Heine


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“Il Destino è già stato scritto.”

“Il Destino non è ancora stato scritto.”

“Credi che le tue scelte possano cambiare ciò che è stato scritto prima che toccassi per la prima volta questa terra?”

“Credo che le mie azioni possano cambiare ciò che è stato Destinato.”

“Illuso.”

“Arreso.”

“A cosa?”

“Ad un ignoto Percorso scritto da chissà chi e chissà perché, ad essere spettatore della tua stessa Vita, abbandonato nella braccia del Destino e del Tempo che scorrono trascinandoti, impotente, in questo tuo stato di accettazione completa.”

“A cosa serve affaticarsi per cambiare ciò che sarà perché già è?”

Lancia un oggetto…

“Perché me l’ha lanciato ora?”

“L’hai preso.”

“Sì, e allora?”

“Avresti potuto non afferrarlo, eppure, lo hai fatto. Eri di fronte ad una scelta: prenderlo o meno. Hai agito per cambiare il Destino.”

“Cosa vuoi dire?”

“Non era mia intenzione dartelo, ma tu questo non potevi saperlo. Ti ho lanciato quest’oggetto per farti capire quanto poco basti per cambiare il Destino. E’ bastato allungare il tuo braccio ed ora, da questa tua scelta, da questa tua azione, dipenderà ciò che mi accadrà. Se tu non lo avessi preso sarebbe tornato nelle mie mani, se lo avessi preso, come hai fatto, sarebbe passato nelle tue ed io ne avrei dovuto fare a meno per il resto della vita, con le relative conseguenze. Ora accade proprio questo.
In questo caso ho affidato il mio Destino a te, ad una tua scelta. Il nostro Percorso può cambiare anche per mano d’altri come vedi. Quest’azione, inoltre, può aver interferito anche con il tuo Destino, vedremo.”

“E chi ti dice che non fosse scritto che avrei dovuto afferrare il lancio?”

“Il fatto che desideravi afferrarlo.”

“Sbagli.”

“Affatto. Eri curioso di capire cosa volevo mostrarti. Hai deciso di agire per assecondare un tuo Desiderio.”

“Era Destino che sapessi,no?”

“No. E’ diventato il tuo Destino nel momento in cui ho deciso di rischiare di separarmi da quell’oggetto e tu hai scelto di afferrarlo per assecondare il tuo Desiderio.”

“Era Destino che tu decidessi di rischiare di separartene e che io lo prendessi.”

“No, noi abbiamo cambiato il Destino con le nostre azioni, incrociando ognuno il cammino dell’altro.”

“E’ stato il Destino che ci ha fatti incontrare.”

“Sono d’accordo. Il Destino ci ha posti su due sentieri che, prima o poi, si sarebbero incrociati, ma il modo in cui questi sentieri sono arrivati fino a questo punto, la traiettoria seguita, l’abbiamo scelta noi e continueremo a sceglierla per il futuro. Il Destino può solo porci davanti delle opzioni, cospirare affinché qualcosa avvenga, ma il modo in cui questa avviene, se avviene, lo scegliamo noi. Saranno le azioni che intraprenderemo a riempire i vuoti lasciati dal Destino.”

“Illuso. Il Destino è già stato scritto.”

“Arreso. Il Destino non è ancora stato scritto.”


11 Giugno 2009

mercoledì 30 marzo 2011

Il vortice ed il gabbiano.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Quando di notte rimango sveglio a pensare questa canzone diventa il sottofondo di tutti i tumulti interiori che, piano piano, vengono a galla e si trasformano rapidi in un vortice che mi porta a fondo mentre in me crescono l’ansia e la paura sapendomi in trappola, perché per quanto io possa provare a nuotare contro corrente non vedo vie di salvezza, non ci sono ancore di salvataggio fra i flutti agitati. Non so neanche più se provo davvero a spingere sulle mie braccia e le mie gambe stanche, se provo a rimanere a galla o se mi sto lasciando risucchiare nelle profondità di questo mare nero. Eppure cresce prepotentemente il desiderio di fuggire via da tutto quello che mi circonda, dalla sensazione di fallimento, che si porta dietro la vergogna e, ormai, un senso di rassegnazione sempre più dilagante nei sentieri bui della mia anima, dai giudizi che pesano sulle mie spalle, dagli obblighi, dalle scelte sbagliate, dall’apatia, persino da quelli che mi circondano e che, a modo loro, senza riuscirmi a spiegare perché, mi amano. Il desiderio di allontanarmi da tutto si traduce spesso nella volontà di non affrontare più questo argomento, né con me stesso né, tantomeno, con gli altri, eppure, lo so, da se stessi non si può sfuggire, forse dagli altri si può fare, ma non da sé. Ma poi, si può davvero fuggire da tutto? Non sono forse un essere umano, con le mie angosce, i miei sentimenti, le mie emozioni, il mio bisogno sociale, i miei affetti? Forse non posso fuggire da tutto e da tutti, ma continuo a sentire il peso di quanti si aspettano da me qualcosa e mi accusano e mi giudicano e puntano il dito contro di me quando si tratta di portare l’esempio negativo, quello da non imitare, quello da evitare. Dove sta la chiave per uscire da quest’incubo che, nelle notti peggiori, mi appare destinato a continuare per tutto il resto della mia vita? La cerco nelle mie tasche e non la trovo.

Avevo appena chiuso gli occhi, ero di nuovo ingoiato dal vortice nero e freddo, ma, stranamente, mi sono sentito riportare a galla, al centro di quel grande vortice e, davanti a me, è apparso un gabbiano dalle grandi ali bianche spiegate, un uccello che vive libero solcando i mari, che si libra nel cielo limpido, che sente il calore del sole tutto il giorno. Libero. Bianco. Come vorrei sentirmi io. Eppure si era posato sul mare agitato, a pochi centimetri da me, e mi fissava, ed aveva gli occhi di uno strano colore, puri. Mi ha detto delle cose. La Vita non è mai come ci si aspetta, è tumultuosa, dura, con pochi riconoscimenti per quanto fai, piena di fuochi fatui, con poche e piccole gioie momentanee che, troppo spesso, lasci passare in secondo piano, di cui neanche ti accorgi, ma è anche ricca di persone, ricca di emozioni contrastanti, a volte belle, a volta brutte, e non puoi mai sapere quale, tra queste possibilità, ti riserva il futuro prossimo e quello ancora più in là, ed è questo che la rende così interessante. Se potessimo leggere da un manuale le istruzioni per l’uso ne varrebbe ancora la pena? Ma soprattutto la Vita è ricca di te, ed il segreto è imparare ad apprezzarsi. Mi ha detto che, a volte, siamo ciechi verso tutto ciò che c’è di buono in noi, veniamo sopraffatti dalla visione a schermo intero del nostro lato peggiore, bombardati da mattina a sera da quelle immagini di noi che hanno come risultato quello di impoverirci l’anima, di lasciarci rassegnati che niente mai potrà cambiare. Mi ha detto che, a volte, dobbiamo avere fiducia in noi stessi più di quanto crediamo di poter fare, e fiducia negli altri, che si traduce nella possibilità di vederci attraverso i loro occhi quando i nostri sono ottenebrati. Mi ha detto che, a volte, dovrei fermare il tempo per assaporare il sorriso di coloro che mi amano quando siamo insieme, che dovrei custodire con cura i ricordi delle loro manifestazioni di fiducia, stima ed affetto, perché, quando attraverso i momenti peggiori della convivenza con me stesso e non vedo nulla di buono con i miei occhi, posso rivalutarmi attraverso i loro e riscoprire la parte migliore di me per ripartire da questa, da solo, con le mie forze, con la mia rinnovata fiducia. Mi ha detto che di essere stato felice non te ne accorgi fintantoché non sei arrivato alla fine di questa faticosa corsa che si chiama Vita, quando, stanco, metti insieme i pezzi e scopri che non è il successo, non sono i soldi, non è una bella casa, non è il lavoro a cui ambivi a renderti tale, ma sono le collezioni di sorrisi, di risate, degli apprezzamenti di chi ami e stimi, del profumo dei tuoi figli la prima volta che li hai stretti fra le tue braccia, delle soddisfazioni personali derivanti dalle tue abilità, anche quelle che non mostri a nessuno. Mi ha detto cose che so, che lasciarsi andare non paga, che nella Vita il dovere ed il piacere, il bene e il male, il bello ed il brutto non sono mai in equilibrio fra loro, che sta solo a noi trovare il giusto rapporto fra le cose, che a questo serve la grande forza che abbiamo dentro, che per ciascuno è diverso ma che, non per questo, non esistono persone in grado di comprendere il tuo equilibrio, i tuoi bisogni, persone disposte ad alleviarti il peso in qualunque modo desideri sia fatto, qualunque modo ritieni sia migliore, che non occorre preoccuparsi dei giudizi negativi di coloro verso cui non hai stima o non provi affetto perché non occorre caricarsi di altri mattoni mentre percorri il tuo cammino, e che, per quanto riguarda coloro che ti amano ma che non riescono a comprenderti ed apprezzarti in pieno, nonostante il tuo nascosto desiderio di vedere ricambiata la tua stima verso di loro, non puoi fare altro che tentare di non ingigantire questo desiderio al punto da crearti un altro grosso ostacolo nella mente, perché si può migliorare solo rimanendo sereni, ma non gli ho fatto notare che stava dicendo una banalità, perché, in fondo, di tanto in tanto, serve anche quello. 

lunedì 28 marzo 2011

Capo di me stessa

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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"Di nuovo tu? Pensavo di non vederti più dopo l’ultima volta. Anzi, diciamo che ci speravo: quando parli ma non sei fisicamente presente posso ignorarti più facilmente. Come hai fatto a tornare?"

"Amo i temporali. Scatenano forze della natura a cui niente e nessuno può contrapporsi, così come tu non puoi resistere alle mie materializzazioni quando quello che hai dentro urla, graffia e ferisce molto più forte del solito."

"Che diavolo vuoi?"

"Oh, oh, nervosa? Sono qui per dirti due paroline. L’hai ascoltata bene questa canzone? "Un altro giorno evanescente, ancora un passo nell’ignoto, straniero sulla terra con la guerra dentro il cuore con la formula del vuoto capo di me stesso dentro il gioco, vittima del fuoco che mi arde dentro mentre cerco un modo”… "

"Che cazzo vuoi da me?! Te lo ripeto! Parla chiaro o tornatene da dove sei venuta che non ho tempo da perdere con i tuoi enigmi! Se ti piace giocare al grillo parlante fai, ma rapida!"

"Perché, cos’hai da fare di così importante da non avere tempo per ascoltarmi? Stai “cercando un modo”? E non ringhiarmi contro che sembri una matta! Tesoro, senza di me dentro, quando ti alteri, non hai alcuna personalità."

"Sì, sì, hai ragione. Come vuoi tu."

"Bene. Accettare la verità è il primo passo."

"Ascolta, “PERSONALITÀ”, vedi di cogliere il disappunto verso di te nelle mie parole d’ora in avanti, che mi secca stare a spiegartelo ogni volta! Ora: che diamine vuoi?"

"Mah… niente… Sai, ora che ti sento così ostile nei miei confronti mi viene in mente una domanda più che pertinente con la canzone che continuiamo ad ascoltare: è duro essere un vagone se vuoi esse la locomotiva, essere uno o centomila, senza nessun complesso, il capo di te stessa in una riga?"

"…"

"Non mi rispondi? Ma possibile che non reagisci mai? Ad ogni mia provocazione tu stai lì, ferma sullo sfondo. Quello che ti succede e le parole che ascolti da me non riescono a spronarti, accetti in modo passivo- aggressivo tutto, è come se tutto scivolasse, sebbene con un forte attrito, sulle pareti del tuo essere e ogni parola che ti ha fatto male si porta via un pezzo e ti lascia a ripensarci ossessivamente per giorni e giorni finché non sei stanca e archivi la cosa fino alla volta successiva in cui la stessa parola ti ricapulterà nella stessa condizione. E intanto non sei cambiata, intanto non hai fatto niente per reagire, hai accettato passivamente. Sei vittima di te stessa e lo sai, non sei il capo di te stessa, tu sei il vagone fintantoché la locomotiva sono io. Sei una o centomila, ma non sei senza nessun complesso."

"Affascinante. Brillante come sempre. Ora sparisci!"

"Non voglio."

"Cosa vuoi che faccia o dica per convincerti a tornare da dove sei venuta? Possibilmente mantenendo un religioso silenzio d’ora in poi quando avrai raggiunto il tuo posto di mia stupida coscienza."

"Voglio che tu realizzi che non è stando lì, immobile, fissando il vuoto oltre la finestra della stanza, il vuoto di una città frenetica, delle luci basse dei lampioni e della gente che si avvia di fretta verso la destinazione, lì muta ad ascolta il silenzio di quello stesso vuoto e a contemplare il tuo, concentrandoti solo sul rumore di questa pioggia scrosciante che ricorda tanto quello delle lacrime che tieni sempre dentro e che hai paura di versare, non si sa poi perché, che puoi reagire. Se stai aspettando l’illuminazione, fidati, che quella sono io, e tu mi scacci. Se stai aspettando che le cose si risolvano mentre stai lì seduta per terra, scordatelo. Io ho già vissuto più di una volta. Sono stata in questo corpo tante volte. Non puoi ricordare. Ho visto scorrere la Vita tante e tante volte, così tante da esserne disgustata, ma da te, non dalla Vita. Nulla è come appare. I tuoi desideri vengono brutalmente distrutti ogni volta che sei ad un passo dall’afferrarli o non appena inizi ad assaporarne il piacevole gusto, dopo aver a lungo lottato per realizzarli. Ma il problema non sta nelle circostanze, è che le tue emozioni sono sempre gioco di altri e ti lasciano in balia di te stessa. I tuoi castelli in aria sono sempre troppo alti per poter resistere alle tempeste. Quando ti sembra che tutto vada per il meglio inizia ad avere paura: sarà quello il momento in cui tutto crollerà. E il crollo sarà solo colpa tua, non delle congiunture. Limita le insicurezze, sposta il fuoco delle lenti attraverso cui guardi il mondo perché troppo spesso cerchi di vederti attraverso gli altri, inizia a bastare a te stessa, colora le tue giornate, riempile di parole, anche sconnesse, perché un giorno potrebbero tornarti utili, sposta l’attenzione dal mondo in cui vivi alienata e torna nella dimensione reale, non puoi vivere altrove, non se continui ad essere legata a chi qui giù ci vive, perché nessuno può seguirti lì dove sei tu, se non per una breve villeggiatura, ma non puoi chiedere a nessuno di rimanerci più a lungo. So che le mie parole non ti lasciano mai totalmente indifferente, so che condividi a pieno quello che ti ho appena detto, per questo accetta il consiglio: alzati, alza il telefono, fai quella telefonata che vuoi e devi fare, ricordati ogni giorno quello che desideri, “se sono un libro con una storia che si sta scrivendo, posso cambiarla ogni secondo ogni secondo me la invento”, e, quando meno te l’aspetterai, la locomotiva sarai diventata tu, io sarò solo il tuo vagone, esattamente come vorresti fosse ora."
 

sabato 26 febbraio 2011

ControTempo

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj


"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine




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(Right Here, right now - Fatboy Slim)



Mi si era parato davanti con il sorrisetto beffardo il bastardo, ma, mentre arrivava in volata alle mie spalle, per sfrecciarmi a fianco inafferrabile in un attimo, ne avevo sentito l’odore. Quell’odore forte e nauseabondo che solo i topi delle fogne si portano dietro.
“Ti sei fermato?” - ho chiesto in tono di sfida - “Non temi che possa allungare la mano ed afferrarti prima che tu abbia modo di accorgertene? Sai quante cose potrei farci col tuo cadavere? Avrei a disposizione il Tempo, finalmente. Basterebbe che dalla tua mano scivolasse via un infinitesimo di secondo e saresti finito, maledetto bastardo.”
“Ho il controllo di ogni muscolo, in ogni secondo, perché controllo ogni attimo.” – ha risposto lui. Ed è rimasto lì, muto e fermo. Mi sfidava di continuo quel cane rognoso. Mi coglieva alle spalle, mi superava, rimaneva davanti a me immobile quel tanto che bastava per farmi credere di poterlo afferrare finalmente, poi si dissolveva, come se non ci fosse mai stato, come se non l’avessi mai visto, come se per me non fosse mai esistito. Ed io ricominciavo a correre ogni volta, nel tentativo, sempre vano, di raggiungerlo, placcarlo, immobilizzarlo finalmente, almeno per quel che mi serviva a raggiungere il mio scopo in quel momento.
“Sono stanca di rincorrerti e non afferrarti mai. Sarebbe tutto più semplice se per una volta ti fermassi e mi dessi modo di rimettere a posto alcune cose, poi potrai ricominciare a correre quanto vuoi, e ripartirà il nostro gioco per intero, almeno fino a quando non ti chiederò una nuova tregua. Non credi sia ragionevole, fottutissimo bastardo?” – ero sempre più furiosa.
“Uh, là,là..non ci siamo” - ha detto lui scuotendo il capo a destra e a sinistra - “Non mi piace tutto questo tuo astio, mia giovane donzella, per non parlare poi della tua scurrilità!” sempre col sorrisetto stampato in faccia.
“Mi coglioni?!” ormai avevo perso la pazienza, avevo il fiatone, tra la corsa e l’imminente crisi di nervi, le gambe mi tremavano e non reggevano il mio peso, le mani, quelle, rimanevano strette in un pugno pronto a tramortirlo non appena avessi colto quell’unico attimo che stavo aspettando.
Quello non mi rispondeva e sorrideva. Ancora.
“Togliti quel cazzo di sorriso dalla faccia e rispondi alla mia domanda!” - gli ringhiai e poi, sforzandomi di calmarmi - “Non trovi ragionevole la mia proposta? E’ un compromesso! Tutti devono scendere a compromesso prima o poi, anche tu, perché, ricordatelo, se io non ci fossi e non esistesse nessun’altro, neanche tu esisteresti, perché nessuno avrebbe percezione di te. Sei esattamente come il Rumore.” E qualcosa in lui sembrò scuotersi. Abbassò lo sguardo quasi impercettibilmente e lo rialzò puntandolo su un punto lontano.
“Mi ferisci. Non posso pensare di non esistere, la mia memoria si estende quasi all’infinito, o, almeno, è come mi appare, e non posso accettare l’idea di poter non esistere più.”
“Sarà questa la tua fine se non scendi a compromesso! Ogni essere umano è ossessionato da te al punto di continuare a rincorrerti disperatamente, assecondando questo tuo sciocco gioco, e non lasci mai che qualcuno vinca, a meno che non sia più furbo di te e, allora, in quel caso, vince da sé, senza che sia tu a scendere al compromesso. Ma quelli più astuti di te sono ben pochi, gli altri sono solo sempre più disperati a causa tua. Alcuni decidono persino di abbandonare il gioco per sempre. Se questa diventasse una scelta collettiva tu saresti letteralmente fottuto, ricordatelo!”
“Vuoi una tregua?” - chiese sommessamente
“Sì. Ti chiedo solo una tregua di breve durata, quel tanto che basta per sistemare alcune faccende, poi potrai ricominciare a correre.”
“Va bene.” Mi tese la mano. Ero diffidente. La guardavo, poi spostavo lo sguardo nei suoi occhi. Non riuscivo a leggerli, ma dovevo decidere cosa fare perché quella, per quanto ne sapevo, poteva essere l’unica mia occasione. Afferrai la mano e nel momento stesso in cui tirai forte per atterrarlo, mi sentii sollevare da terra e rotolare sull’asfalto freddo dopo un gran volo. Rimasi senza fiato per un istante e dolorante molto più a lungo, col sangue che colava da ogni graffio e ferita.
“Grandissimo pezzo di merda! Mi hai fottuta di nuovo!” -gli urlai -mi venne accanto, mi guardò malignamente e si piegò su di me, piano piano, per sussurrarmi in un orecchio: “Scacco matto! Contro di me non puoi vincere, a meno che non sia io a concederti un’effimera conquista di quello che tanto brami. E, beh, sai quando sembravo tanto ferito dalle tue parole? Fingevo!” - e scoppiò in una risata diabolica, che sembrava non avere fine, poi riprese - “Io esisterò sempre, anche senza voi sciocchi umani, e tu, mia povera illusa, sbagli completamente la prospettiva in questa situazione: non sono io ad esistere perché esistete voi, ma voi ad esistere grazie a me. Sono io che scandisco le vostre giornate, sono io che scandisco la vostra vita e sono sempre io a decidere quando vi ho concesso abbastanza di me ed è ora che abbandoniate questa terra. Io ero all’Origine e sarò In Aeternum. Io sono il Tempo. E voi siete tutti fottuti.” – e si dissolse continuando a ridere diabolicamente, e quella risata è rimasta nelle mie orecchie per molto tempo dopo la sua sparizione.

domenica 23 gennaio 2011

I diari di un pazzo.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Come fossero i diari di un pazzo. I miei diari.


Ieri notte ho visto il suo fantasma. L’ho visto nel riflesso dello specchio, al posto del mio. Mi sono sentito io stesso quel fantasma. Ho avuto paura. Paura di quello che sto diventando, dei passi falsi che sto ricalpestando, miei e non.

Ieri notte ho sfogliato i miei diari.

E’ un flusso di coscienza fra i flutti del mare nero ingoiato dal vortice della corrente nonostante l’ambiente sicuro e protetto della mia cabina penso penso penso ho deciso di perderla perché mi somiglia e mi spaventa perché io non so fingere io non so disinteressarmi io non so distaccarmi io non so non affezionarmi perché io non mi fido non più io soffro i paragoni le competizioni non potrò mai vincerle io soffro i pensieri il passato che fa capolino quando meno te l’aspetti i suoi pensieri che non posso leggere e se pensasse a lui io non potrei saperlo neanche se la stessi guardando o se lei stesse guardando me così come non potrei sapere se il suo pensiero va a lui quando siamo nella stessa stanza nello stesso letto ed io non voglio dividere niente di ciò che è mio ho deciso di perdere l’occasione in favore di un’ipotetica altra senza passato perché il passato mi dà i brividi anche se sono più terrorizzato dal futuro o dalla possibile mancanza di esso con lei mi bucherò di nuovo non nuoce nessuno andrò avanti forza di volontà ci vuole e si accetta l’idea che non esiste per sempre perché siamo troppo volubili per fissarci come un punto dell’universo fortunatamente ma lo siamo anche fin troppo per credere realmente di spostarci all’infinito insieme ad un altro puntino e ci si rassegna all’idea confidando di non sentire più vuote promesse che parlano di un’eternità che non esiste e mai esisterà e si spera di non essere più costretti a credere a parole vuote ed elemosinate e così si cambia cosi rinuncia a sognare di nuovo perché i sogni non valgono niente perché prima o poi ci si scontra con la realtà in cui non esiste l’amore eterno ma solo fuochi passeggeri ed io non voglio arrivare un giorno a guardarmi indietro per vedere il cammino completamente bruciato la lascio andare