venerdì 2 marzo 2012

Storia di un contadino infelice.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine





Sfumano i contorni. Ne è rimasta solo l’immagine sfocata. La sua fisicità sembra persino impalpabile. Dentro come sarà?

Il vuoto fa paura. Il salto nell’ignoto carica di adrenalina ogni fibra.  Ma che succede quando il vuoto è nella testa?

Delle volte aveva vent’anni, altre ottanta. Le energie lo abbandonavano troppo spesso e mancava di forza fisica per la maggior parte dei giorni in cui era costretto a trascinarsi sulla terra che coltivava e che gli pareva sempre arida, sempre così uguale a se stessa, incapace di destargli qualsiasi interesse, una creatura che non riusciva ad amare ma che lo inghiottiva per una giornata intera e quella successiva e quella dopo ancora, lasciandolo libero, quasi come fosse una gentile concessione, solo a sera. Su quella terra, chino a lavorare, senza riuscire a smettere di sentire la stanchezza neanche per un istante e non potendosi fermare nonostante tutto, si accorgeva che mancava anche di concentrazione. Scopriva giorno dopo giorno di non riuscire più a memorizzare nuove informazioni: non solo i nomi e i volti dei nuovi conoscenti si dissolvevano dopo pochi minuti nella sua testa, ma persino quelli di coloro che conosceva da anni non erano più considerabili certi, era costretto a riempire cumuli di foglietti su cui appuntava ogni numero, ogni orario, persino l’intera sequenza di azioni delle sue giornate e le coltivazioni dei vari campi. Imparare e tenere nella memoria nuove tecniche di coltura e produzione era impensabile. Inoltre le sue capacità cognitive gli apparivano sempre più caduche. Eppure alcuni giorni, rari, aveva vent’anni e possedeva le energie fisiche e mentali per concedersi di tutto, e sentiva di poter spaccare il mondo con un colpo piatto ben assestato su quella maledetta terra. Ma l’euforia si estingueva in breve tempo, durava finché riusciva a dedicarsi a qualcosa che non fosse l’obbligo di quelle colture e che, anzi, con esse non aveva proprio niente in comune. Poche ore in cui però riusciva a sentirsi di nuovo vivo e pulsante per un fremito improvviso, eccitato da un’idea, ispirato da ondate improvvise di progetti che però, lo sapeva, mai avrebbe realizzato per paura del fallimento o mancato tempo o mancata organizzazione, era libero di speculare su se stesso, almeno finché, così facendo, gli obblighi non iniziavano a far capolino alla sua porta, riportandolo con un tonfo alla realtà ed inducendolo ad elaborare strategie per evaderli nel futuro, per fuggire dalla gabbia che da solo si era costruito. Non aveva mai pensato di fare il contadino in vita sua. Un giorno, semplicemente, cominciò. All’inizio sotto la guida di uomini più anziani e alle loro dipendenze, poi, pian piano, si ritrovò a gestire dei campi suoi. Ma quel lavoro lo estraniava da se stesso e lo schiacciava, ed ogni nuovo giorno sentiva il peso di tutto ciò che stava perdendo stando lì ricurvo in un campo. Sapeva che la vita gli stava scivolando fra le dita, ma non come granelli sottilissimi di sabbia che cadono poco a poco, piuttosto come sassolini pesanti che, all’impatto col suolo, creano solchi. I solchi della sua anima aumentavano di continuo e non vi era altro modo di porre fine a questo scombussolante fenomeno se non quello di farsi coraggio e tentare la fortuna reinventandosi da capo e abbandonando i campi per sempre, facendo tesoro di tutto quello che gli avevano insegnato ma senza possibilità di tornare sui suoi passi perché nessuno dovrebbe sentire la sua figura sbiadire e sfumare i contorni mentre nella testa , poco a poco, tutto si cancella fino a lasciare il vuoto che potrebbe iniziare a risucchiare chissà dove l’anima.