sabato 8 dicembre 2012

Altri mondi

"La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine

                                          
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Ieri notte il cielo è crollato di nuovo. E’ caduto violentemente ed ha portato con sé l’oscurità. Mi ha schiacciato, sono morto soffocato e terrorizzato per qualche istante, dopo che la mia mente era stata catapultata attraverso un cono di luce che si apriva in un vortice nero, nel quale non potevo far altro che essere inghiottito, destinato a non arrivare mai sul fondo. Sapevo che non ne sarei mai più uscito, ero intrappolato in quel non-luogo per l’eternità. “Sono morto –ho pensato. E ne ero certo- è questo che si prova”. Sapevo di non poter più tornare indietro, ero pervaso dal terrore. “Eppure, provo. Devo essere ancora vivo.” Ho sgranato gli occhi, ho forzato il respiro. Non era ancora abbastanza, dovevo toccarmi, sapere per certo che c’ero, ma le mie mani sul viso, sul collo, sulle braccia, sulle gambe, non erano abbastanza per convincermi, neanche l’abbraccio in cui ero stretto lo era: cos’è reale? Se l’esperienza che avevo appena vissuto era così terrorizzante e così intensa da essere estremamente convincente, come si può discernere la realtà vera da quella che è una costruzione od un pessimo scherzo della propria mente? E perché la mia mente continua a giocarmi simili trabocchetti?

L’ansia mi ha divorato tutto il giorno.

Sono salito sulla metro questa sera, mi sono fermato di fronte ad una delle porte, in mezzo a decine di persone, mi sentivo alienato ed inconsistente, mi sono chiesto se gli altri avessero percezione del mio mancato controllo psico-fisico e se mai l’avessero sperimentato, non dico tutti, ma qualcuno. Ho girato un po’ attorno lo sguardo cercando di carpire i pensieri altrui o, almeno, se gli altri vivono d’inquietudine e quanto questa sia grande. Voglio sapere se sono l’unico che, ogni giorno, mille volte al giorno, si sente così: vive in bilico tra il dubbio che nulla sia reale, che ciò che tocca non esista, che le persone attorno non esistano, che egli stesso non esista e la paura che sia tutto reale, ma in comodato d’uso fino al Momento. Rifiuto l’idea che quel Momento debba arrivare, mi fa orrore, eppure continuo a navigare nelle acque buie di quel pensiero e, troppo spesso, mi ci immergo e, qualche volta, ne vengo inghiottito, è allora che il cielo, su di me, cade. Mi sveglio ogni mattina e mi addormento ogni sera consapevole che arriverà, che inevitabilmente, per quanto io possa non accettarlo e raffigurare nella mia testa l’immagine di me che punto i piedi nella terra e mi oppongo allo scorrere del tempo, come un bambino capriccioso, fino ad avere la meglio ed esserne lasciato al di fuori, accadrà. Trascorro ogni giorno con la paura che sia uno degli ultimi, con la rassegnazione di chi è comunque fottuto, indipendentemente da ciò che potrebbe fare, ed ogni cosa così perde senso, gli obblighi ed i doveri di qualsiasi appartenente a questa società diventano un peso insopportabile che va evitato in ogni modo ogni volta possibile, rei di sottrarmi quel forse-poco tempo che mi rimane, amplificando le mie ansie e la mia alienazione dalla realtà, spezzandomi. Sono scisso in due, almeno, una parte, quella paradossalmente più razionale, ha una paura fottuta del Momento, ma è consapevole di essere reale e così è anche tutto ciò che la circonda. Tuttavia rifiuta di accettare la sua intrinseca caducità ed è per questo che, grazie ad essa, riesco a mantenere solo un controllo apparente, con enormi sforzi: se la sua riflessione indugia più del dovuto, se si immerge nella sperimentazione del Non Essere, il cielo, su di me, cade. Una parte invece crede di non essere reale e che nulla lo sia, e non sa cosa effettivamente essa sia, le sembra di non avere confini fisici, ecco perché non può accettare l’esistenza della materia, la percepisce come un inganno e cerca costantemente la risposta alla domanda: cosa sono e fino a quando sarò? Continuo a girarmi attorno. Ricerco un motivo di questi miei pensieri. Da vent’anni. Sono spesso convinto che la realtà che credo di vivere non esista. Sono sicuro di essere morto questa notte. Sto impazzendo?



lunedì 30 luglio 2012

Freddo.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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E’ la sensazione di non essere padrone di te stesso che ti conduce verso l’oblio della tenebra. Rimane solo un pensiero e sembra riecheggiare urtando contro le pareti della stanza che, ogni secondo che passa, si stringono claustrofobicamente su di te.

E per quanto sia orribile quell'unico pensiero che ti è rimasto, e vorresti scacciarlo con tutte le tue forze, c’è una parte di te che lo afferra e non vuole mollarlo perché pensare è quello che ti rende vivo. E per qualche secondo che sembra durare in eterno, quell'idea primeggia alimentando il tuo terrore e il vuoto che ti dilaga dentro una volta aperta la ferita. E’ sentirsi spezzati, avere la sensazione che pezzi di te crollino in terra sgretolandosi e che il cuore sia pronto a frantumarsi da un momento all'altro per seguire il resto, perché non può durare molto più a lungo degli altri pezzi: è lì che hai sentito il primo squarcio, prima o poi cederà, non sai esattamente quando, ma sai che succederà. Ti sforzi di spalancare gli occhi, quasi a voler afferrare la prima immagine serena che possa trarti in salvo, ma non vedi nulla davvero. E per quanto ti sforzi di respirare aiutandoti con la bocca, l’aria si blocca in gola tanto da farti male e il fiato ti continua a mancare, il peso sul petto è sempre più insopportabile, la testa sempre più leggera e quasi ogni sua facoltà è azzerata. Non riesci neanche ad emettere un suono. L'afonia ti avvicina sempre di più all'attimo in cui non sarai più, come fa la tua tremante rigidità. Eppure il tuo cervello sta funzionando, ma realizza immagini di un completo buio stretto attorno a te, che ti imprigionerà per sempre, dal quale non esiste via d’uscita una volta attraversata la linea tra luce e oscurità. E queste immagini non fanno che amplificare il terrore di stare per attraversare la linea nell'immediato, consapevole che non basterebbe puntare i piedi sul terreno, aggrapparti a tutto quanto di saldo trovi sulla via, ammesso che il tuo corpo di colpo riprenda ad obbedire al tuo volere, per rimanere dal lato in cui i tuoi occhi vedono, il tuo cervello pensa tu parli, ridi, ami e odi.

E più cerchi di sgombrare la mente più i tuoi assilli si ripresentano, uno ad uno, poi insieme, poi il più lontano e il più recente. Bussano insistentemente alle porte della tua anima, ululano il tuo nome, graffiano sui vetri, non puoi non sentirli, non puoi mai non ascoltarli.

E’ un brivido gelido, un senso di morte imminente, il crollo di ogni certezza, è panico, quello che ti prende.
6 Maggio 2010

domenica 20 maggio 2012

Addio

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Non hai niente da dire?”

“No. Forse solo una preghiera:

lasciatemi dormire,
quando le stelle non ci sono
quando la Luna è alta nel cielo
quando la mente si riempie di buio
quando il cuore si spalanca sull’ assoluto.”

“Molto poetico, sì. Ma non mi basta. Voglio delle spiegazioni!”

“Sai, mi capita di camminare per strada e, quando soffia il vento, guardare il mondo a rallentatore, come in quelle scene dei film in cui la tristezza o la nostalgia regnano sovrane e le inquadrature si susseguono con effetti di dissolvenza le une nelle altre. Mi piacerebbe catturarne una, farle raggiungere il mio angolo più profondo, lasciarla lì quel tanto che basta per sentirla mia e solo mia, perché mi sussurri le parole che cerco quando meno me l’aspetto. O, ancora meglio, mi piacerebbe che ogni immagine fosse un seme che, tenuto al buio, germina e si trasforma in una vigorosa pianta e che su ogni foglia fosse scritta una parola, quella parola che cerco ma non trovo mai, così potrei coltivare un giardino di parole. E allora non mi mancherebbero più. Forse. Dico forse perché la sensazione adesso è quella di aridità e su un terreno arido non nasce niente. E così mi riduco a sperare che il cielo che, provocatoriamente forse, sta sempre lassù mi caschi addosso perché, in quel modo, qualcosa dentro di me dovrà scuotersi, una zolla dovrà rigirarsi, e, magari, dopo quella un’altra e un’altra ancora e allora potrò arare il mio campo ed iniziare a collezionare semi di alberi di parole.”

“Parli, parli, ma non dici niente! È frustrante! Posa quel cazzo di bicchiere e guardami! Sei patetica nei tuoi tentativi di distogliere l’attenzione dalle questioni importanti riportando tutto a te, alle tue sciocche crisi e di mezzo ci vado sempre io. Sono stanco di questo. L’ultima occasione di parlare te l’ho data, non l’hai colta ed ora parlo io: addio.”



giovedì 12 aprile 2012

L'ospite

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


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Con un po’ di alcol che scorre nelle vene diventa tutto più semplice: riesco a descrivere meglio le sensazioni che l’ospite dentro di me mi racconta. Si sente sbocciare come un fiore al mattino, quando la rugiada lo bagna ed il Sole inizia ad illuminarlo. Poco a poco si apre, pronto ad affrontare un nuovo giorno. Sarà facile la vita di un fiore?
Un fiore non chiude i suoi petali fino a sera, affronta le intemperie, non demorde, richiama le api, è aperto al mondo e si mostra fiducioso verso di esso, si assume il rischio di venire schiacciato od estirpato mentre assolve al compito cui è destinato. Il mio ospite invece chiude se stesso al mondo quasi subito al mattino. I buoni propositi di cui mi parla ogni sera mentre siamo distesi a letto vengono puntualmente disattesi nelle prime ore del giorno, e non trova modo migliore per non vedere il fallimento che è di chiudere fuori anche me: mi lascia confinata in un angolo della mia mente con le pareti elastiche, ed ogni pensiero rimbalza su queste e torna al mittente, più potente ad ogni rimbalzo. Verrebbe voglia di scrollare la testa a destra e sinistra nel tentativo di farlo uscire per indirizzarlo all'ospite ed imporgli di rispettare gli impegni presi, ma rimane lì e mi colpisce di continuo. Fa male. Ma deve esserci una via di fuga, qualcosa in quella stanza non è a tenuta stagna come sembra: c’è una sensazione prepotente in un altro distretto, si manifesta ad ogni rimbalzo. Il cuore pulsa forte e poi si contorce, sembra voler scoppiare per ribellarsi. Deglutisco. Non va giù questo peso ed il cuore non si placa. Diventerò pazza, se non lo sono già. Il controllo ormai è sempre più difficile da mantenere:

è un'ansia che cresce, mi divora
ed ora come ora non so se posso sopportarla
ancora.
Il cuore batte troppo forte, la gola si stringe,
i polmoni mancano d'aria e lo sguardo
stinge.

Lo sguardo: disattento, distante. Vedo ma non guardo, né tantomeno osservo. Mi ossessiona troppo quello che c’è dentro per considerare l’esterno. Ormai non ascolto neanche più. Sento, ma non ascolto. E così non ricordo. Quest’altro da me sta inghiottendo tutto, persino i ricordi. Diventano più sbiaditi di giorno in giorno e non riesco a collezionarne di nuovi. Si dice che si beve per dimenticare, io bevo per ricordare. Ricordare cosa vuol dire Sentire, cercando di percepire l’ospite, d’interpretarlo, di convincerlo a raccontarmi la vita che mi impedisce di vivere e che non vive. Eppure entrambi abbiamo in mente di viverla ed allora: dove finisco io e dove inizia il mio ospite?


venerdì 2 marzo 2012

Storia di un contadino infelice.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine





Sfumano i contorni. Ne è rimasta solo l’immagine sfocata. La sua fisicità sembra persino impalpabile. Dentro come sarà?

Il vuoto fa paura. Il salto nell’ignoto carica di adrenalina ogni fibra.  Ma che succede quando il vuoto è nella testa?

Delle volte aveva vent’anni, altre ottanta. Le energie lo abbandonavano troppo spesso e mancava di forza fisica per la maggior parte dei giorni in cui era costretto a trascinarsi sulla terra che coltivava e che gli pareva sempre arida, sempre così uguale a se stessa, incapace di destargli qualsiasi interesse, una creatura che non riusciva ad amare ma che lo inghiottiva per una giornata intera e quella successiva e quella dopo ancora, lasciandolo libero, quasi come fosse una gentile concessione, solo a sera. Su quella terra, chino a lavorare, senza riuscire a smettere di sentire la stanchezza neanche per un istante e non potendosi fermare nonostante tutto, si accorgeva che mancava anche di concentrazione. Scopriva giorno dopo giorno di non riuscire più a memorizzare nuove informazioni: non solo i nomi e i volti dei nuovi conoscenti si dissolvevano dopo pochi minuti nella sua testa, ma persino quelli di coloro che conosceva da anni non erano più considerabili certi, era costretto a riempire cumuli di foglietti su cui appuntava ogni numero, ogni orario, persino l’intera sequenza di azioni delle sue giornate e le coltivazioni dei vari campi. Imparare e tenere nella memoria nuove tecniche di coltura e produzione era impensabile. Inoltre le sue capacità cognitive gli apparivano sempre più caduche. Eppure alcuni giorni, rari, aveva vent’anni e possedeva le energie fisiche e mentali per concedersi di tutto, e sentiva di poter spaccare il mondo con un colpo piatto ben assestato su quella maledetta terra. Ma l’euforia si estingueva in breve tempo, durava finché riusciva a dedicarsi a qualcosa che non fosse l’obbligo di quelle colture e che, anzi, con esse non aveva proprio niente in comune. Poche ore in cui però riusciva a sentirsi di nuovo vivo e pulsante per un fremito improvviso, eccitato da un’idea, ispirato da ondate improvvise di progetti che però, lo sapeva, mai avrebbe realizzato per paura del fallimento o mancato tempo o mancata organizzazione, era libero di speculare su se stesso, almeno finché, così facendo, gli obblighi non iniziavano a far capolino alla sua porta, riportandolo con un tonfo alla realtà ed inducendolo ad elaborare strategie per evaderli nel futuro, per fuggire dalla gabbia che da solo si era costruito. Non aveva mai pensato di fare il contadino in vita sua. Un giorno, semplicemente, cominciò. All’inizio sotto la guida di uomini più anziani e alle loro dipendenze, poi, pian piano, si ritrovò a gestire dei campi suoi. Ma quel lavoro lo estraniava da se stesso e lo schiacciava, ed ogni nuovo giorno sentiva il peso di tutto ciò che stava perdendo stando lì ricurvo in un campo. Sapeva che la vita gli stava scivolando fra le dita, ma non come granelli sottilissimi di sabbia che cadono poco a poco, piuttosto come sassolini pesanti che, all’impatto col suolo, creano solchi. I solchi della sua anima aumentavano di continuo e non vi era altro modo di porre fine a questo scombussolante fenomeno se non quello di farsi coraggio e tentare la fortuna reinventandosi da capo e abbandonando i campi per sempre, facendo tesoro di tutto quello che gli avevano insegnato ma senza possibilità di tornare sui suoi passi perché nessuno dovrebbe sentire la sua figura sbiadire e sfumare i contorni mentre nella testa , poco a poco, tutto si cancella fino a lasciare il vuoto che potrebbe iniziare a risucchiare chissà dove l’anima.