mercoledì 12 aprile 2017

Polarize

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Si era appena seduto sul comodo divano di pelle nera e già provava disagio. Avrebbe voluto alzarsi, accendere una sigaretta, camminare avanti e indietro nella stanza, e dire tutto quello che doveva dire. Sapeva perfettamente perché si trovava lì, c’aveva pensato per più di venti anni. Voleva solo dirlo, sentire se gli veniva offerta una soluzione migliore a quelle che aveva trovato lui, e andarsene.
Dissimulò il disagio. Era un mago a farlo. O, almeno, credeva di esserlo. Dall’altra parte del tappeto e del tavolino, quello sprofondato nella poltrona nera già prendeva appunti. A lui sfuggì una smorfia con la bocca mentre intrecciava le dita, e a stento trattenne un sospiro. Quello taceva. Fissava il quaderno, e taceva. Cinque, interminabili, minuti. Lui faticava a tenere ferme le gambe, che avevano necessità di muoversi su e giù. Ad un tratto, si rese conto di aver intrapreso una battaglia persa. Esordì:
“Avrei voluto essere migliore, e mai avrei voluto arrendermi a me stesso. Avrei voluto lottare ancora contro l’affollamento dei pensieri nella mia testa, mettendoli in ordine, scartandone parecchi, e tenendo solo quei pochi buoni. Tutto il giorno sento voci nella mia testa, e il loro eco. Spesso sento i pensieri altrui su di me, sento il loro biasimo - ma il mio biasimo verso me stesso è più forte - sento le loro prese in giro, sento il loro giudizio. Soffro per tutto questo e mi vergogno. Quando la vergogna è troppa, scuoto la testa a destra e sinistra. Sempre più violentemente. Funziona lì per lì. Rivivo situazioni, risento parole, rivedo immagini. Prima d’ora, non avevo mai creduto nemmeno per un istante che qualcosa o qualcuno mi avrebbe potuto cambiare così tanto da trasformarmi in un disilluso. Andavo fiero delle mie illusioni, perché mi davano la spinta per evolvermi. Attraverso le illusioni puntavo alle stelle. Non che ci sia mai arrivato alle stelle, ma a volte mi sono sentito abbastanza vicino da provarne il calore. E adesso? Adesso le stelle non le vedo, figurarsi sentirne l’energia. Senza quell’energia mi sento svuotato. Forse tutto quello che credevo di essere, semplicemente, non lo sono mai stato. Se così fosse, allora sto guarendo: l’accettazione di sé è il primo passo. Ma come accettare davvero di non avere alcun talento, alcuna idea originale, una briciola di creatività, ed essere solo un depresso cronico con un buco enorme dentro? Uno che di notte si sveglia madido di sudore e ansimante, con l’ennesima crisi di panico.”

Quello in poltrona prendeva appunti, e non rispondeva.

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