L. Tolstoj
"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine
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Si era appena seduto sul comodo divano di pelle nera e già provava
disagio. Avrebbe voluto alzarsi, accendere una sigaretta, camminare avanti e
indietro nella stanza, e dire tutto quello che doveva dire. Sapeva perfettamente
perché si trovava lì, c’aveva pensato per più di venti anni. Voleva solo dirlo,
sentire se gli veniva offerta una soluzione migliore a quelle che aveva trovato
lui, e andarsene.
Dissimulò il disagio. Era un mago
a farlo. O, almeno, credeva di esserlo. Dall’altra parte del tappeto e del
tavolino, quello sprofondato nella poltrona nera già prendeva appunti. A lui
sfuggì una smorfia con la bocca mentre intrecciava le dita, e a
stento trattenne un sospiro. Quello taceva. Fissava il quaderno, e taceva.
Cinque, interminabili, minuti. Lui faticava a tenere ferme le gambe, che
avevano necessità di muoversi su e giù. Ad un tratto, si rese conto di aver
intrapreso una battaglia persa. Esordì:
“Avrei voluto essere migliore, e
mai avrei voluto arrendermi a me stesso. Avrei voluto lottare ancora contro l’affollamento
dei pensieri nella mia testa, mettendoli in ordine, scartandone parecchi, e
tenendo solo quei pochi buoni. Tutto il giorno sento voci nella mia testa, e il
loro eco. Spesso sento i pensieri altrui su di me, sento il loro biasimo - ma il mio biasimo verso me stesso è più forte - sento le
loro prese in giro, sento il loro giudizio. Soffro per tutto questo e mi vergogno. Quando la
vergogna è troppa, scuoto la testa a destra e sinistra. Sempre più violentemente.
Funziona lì per lì. Rivivo situazioni, risento parole, rivedo immagini. Prima d’ora,
non avevo mai creduto nemmeno per un istante che qualcosa o qualcuno mi avrebbe
potuto cambiare così tanto da trasformarmi in un disilluso. Andavo fiero delle
mie illusioni, perché mi davano la spinta per evolvermi. Attraverso le
illusioni puntavo alle stelle. Non che ci sia mai arrivato alle stelle, ma a
volte mi sono sentito abbastanza vicino da provarne il calore. E adesso? Adesso
le stelle non le vedo, figurarsi sentirne l’energia. Senza quell’energia mi
sento svuotato. Forse tutto quello che credevo di essere, semplicemente, non lo
sono mai stato. Se così fosse, allora sto guarendo: l’accettazione di sé è il
primo passo. Ma come accettare davvero di non avere alcun talento, alcuna idea
originale, una briciola di creatività, ed essere solo un depresso cronico con
un buco enorme dentro? Uno che di notte si sveglia madido di sudore e ansimante,
con l’ennesima crisi di panico.”
Quello in poltrona prendeva
appunti, e non rispondeva.
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