lunedì 10 maggio 2010

Polvere.

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine


...Inizia a leggere dopo aver avviato il video...




Per anni questo ricordo è rimasto sepolto sul fondo della mia anima. Ho lasciato che uno spesso strato di polvere lo coprisse.
La polvere. La polvere non è sporca come lo erano le sue mani sempre in ordine. Le sue grandi mani da adulto, troppo morbide per essere sincere. Dalla prima volta che mi sfiorarono ebbero il potere di irrigidirmi completamente, di insinuare in me una grande paura, seconda, però, al mio enorme senso di colpa. Ripeteva che meritavo di essere trattata così come faceva. Lo meritavo perché una bella bambina non è un dono del Signore ma una tentazione di Satana. Mi mostrò la mia natura di strumento del peccato spogliandomi nuda davanti ad uno specchio e rimasi zitta ad ascoltare, sopraffatta dalla vergogna per me stessa. Così, quando uscì la prima volta dalla mia stanza dei giochi, non ebbi il coraggio di affrontare di nuovo lo specchio. Da quel giorno non ebbi più neanche il coraggio di alzare lo sguardo, spaventata dalla possibilità di incrociare quello altrui e indurlo così in tentazione.
Mi raggiungeva spesso nella mia stanza dei giochi, chiedendomi di giocare con lui con fare tenero, prima quando la mamma usciva, poi anche quando la mamma era al piano di sotto, prima della cena. Qualche volta volle giocare anche di notte, entrando nel mio lettino e sussurrandomi che non avevo bisogno del mio orsacchiotto Otto per essere protetta, che lui era lì per quello e, mentre lo diceva, cingendomi con un braccio, lasciava correre la mano sulla mia pelle sempre più bianca. Un bianco che, con gli anni, cominciò a contrastare eccessivamente con i lunghi graffi color rubino che solcavano le mie gambe e braccia e i minuscoli taglietti che minuziosamente operavo sui polsi.
Non ebbi mai il coraggio di raccontare. La vergogna era troppo grande. Forse avrei potuto confidarmi con mia madre ma, in quel caso, più che la vergogna, mi bloccava un’idea: l’idea che mia madre sapesse e che le stesse bene così pur di non perdere l’uomo retto che amava e aveva sposato.

Nessun commento:

Posta un commento