lunedì 28 marzo 2011

Capo di me stessa

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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"Di nuovo tu? Pensavo di non vederti più dopo l’ultima volta. Anzi, diciamo che ci speravo: quando parli ma non sei fisicamente presente posso ignorarti più facilmente. Come hai fatto a tornare?"

"Amo i temporali. Scatenano forze della natura a cui niente e nessuno può contrapporsi, così come tu non puoi resistere alle mie materializzazioni quando quello che hai dentro urla, graffia e ferisce molto più forte del solito."

"Che diavolo vuoi?"

"Oh, oh, nervosa? Sono qui per dirti due paroline. L’hai ascoltata bene questa canzone? "Un altro giorno evanescente, ancora un passo nell’ignoto, straniero sulla terra con la guerra dentro il cuore con la formula del vuoto capo di me stesso dentro il gioco, vittima del fuoco che mi arde dentro mentre cerco un modo”… "

"Che cazzo vuoi da me?! Te lo ripeto! Parla chiaro o tornatene da dove sei venuta che non ho tempo da perdere con i tuoi enigmi! Se ti piace giocare al grillo parlante fai, ma rapida!"

"Perché, cos’hai da fare di così importante da non avere tempo per ascoltarmi? Stai “cercando un modo”? E non ringhiarmi contro che sembri una matta! Tesoro, senza di me dentro, quando ti alteri, non hai alcuna personalità."

"Sì, sì, hai ragione. Come vuoi tu."

"Bene. Accettare la verità è il primo passo."

"Ascolta, “PERSONALITÀ”, vedi di cogliere il disappunto verso di te nelle mie parole d’ora in avanti, che mi secca stare a spiegartelo ogni volta! Ora: che diamine vuoi?"

"Mah… niente… Sai, ora che ti sento così ostile nei miei confronti mi viene in mente una domanda più che pertinente con la canzone che continuiamo ad ascoltare: è duro essere un vagone se vuoi esse la locomotiva, essere uno o centomila, senza nessun complesso, il capo di te stessa in una riga?"

"…"

"Non mi rispondi? Ma possibile che non reagisci mai? Ad ogni mia provocazione tu stai lì, ferma sullo sfondo. Quello che ti succede e le parole che ascolti da me non riescono a spronarti, accetti in modo passivo- aggressivo tutto, è come se tutto scivolasse, sebbene con un forte attrito, sulle pareti del tuo essere e ogni parola che ti ha fatto male si porta via un pezzo e ti lascia a ripensarci ossessivamente per giorni e giorni finché non sei stanca e archivi la cosa fino alla volta successiva in cui la stessa parola ti ricapulterà nella stessa condizione. E intanto non sei cambiata, intanto non hai fatto niente per reagire, hai accettato passivamente. Sei vittima di te stessa e lo sai, non sei il capo di te stessa, tu sei il vagone fintantoché la locomotiva sono io. Sei una o centomila, ma non sei senza nessun complesso."

"Affascinante. Brillante come sempre. Ora sparisci!"

"Non voglio."

"Cosa vuoi che faccia o dica per convincerti a tornare da dove sei venuta? Possibilmente mantenendo un religioso silenzio d’ora in poi quando avrai raggiunto il tuo posto di mia stupida coscienza."

"Voglio che tu realizzi che non è stando lì, immobile, fissando il vuoto oltre la finestra della stanza, il vuoto di una città frenetica, delle luci basse dei lampioni e della gente che si avvia di fretta verso la destinazione, lì muta ad ascolta il silenzio di quello stesso vuoto e a contemplare il tuo, concentrandoti solo sul rumore di questa pioggia scrosciante che ricorda tanto quello delle lacrime che tieni sempre dentro e che hai paura di versare, non si sa poi perché, che puoi reagire. Se stai aspettando l’illuminazione, fidati, che quella sono io, e tu mi scacci. Se stai aspettando che le cose si risolvano mentre stai lì seduta per terra, scordatelo. Io ho già vissuto più di una volta. Sono stata in questo corpo tante volte. Non puoi ricordare. Ho visto scorrere la Vita tante e tante volte, così tante da esserne disgustata, ma da te, non dalla Vita. Nulla è come appare. I tuoi desideri vengono brutalmente distrutti ogni volta che sei ad un passo dall’afferrarli o non appena inizi ad assaporarne il piacevole gusto, dopo aver a lungo lottato per realizzarli. Ma il problema non sta nelle circostanze, è che le tue emozioni sono sempre gioco di altri e ti lasciano in balia di te stessa. I tuoi castelli in aria sono sempre troppo alti per poter resistere alle tempeste. Quando ti sembra che tutto vada per il meglio inizia ad avere paura: sarà quello il momento in cui tutto crollerà. E il crollo sarà solo colpa tua, non delle congiunture. Limita le insicurezze, sposta il fuoco delle lenti attraverso cui guardi il mondo perché troppo spesso cerchi di vederti attraverso gli altri, inizia a bastare a te stessa, colora le tue giornate, riempile di parole, anche sconnesse, perché un giorno potrebbero tornarti utili, sposta l’attenzione dal mondo in cui vivi alienata e torna nella dimensione reale, non puoi vivere altrove, non se continui ad essere legata a chi qui giù ci vive, perché nessuno può seguirti lì dove sei tu, se non per una breve villeggiatura, ma non puoi chiedere a nessuno di rimanerci più a lungo. So che le mie parole non ti lasciano mai totalmente indifferente, so che condividi a pieno quello che ti ho appena detto, per questo accetta il consiglio: alzati, alza il telefono, fai quella telefonata che vuoi e devi fare, ricordati ogni giorno quello che desideri, “se sono un libro con una storia che si sta scrivendo, posso cambiarla ogni secondo ogni secondo me la invento”, e, quando meno te l’aspetterai, la locomotiva sarai diventata tu, io sarò solo il tuo vagone, esattamente come vorresti fosse ora."
 

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