lunedì 28 dicembre 2009

CHIAR(i)-(e)-(a)MENT(i)-(i)-(e)

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Era notte. Il buio lo ricordo bene.”
“E’ stato questo per te?”
“Sì, era come se un mantello oscuro avesse ricoperto tutto e mi avesse depredata dei miei anni, dei miei pensieri e delle mie certezze. Come se mi fossi lasciata nutrire solo di inquietudine ed insicurezza. Sotto quel velo oscuro è rimasta la mia anima svuotata.”
“Ed ora?”
“Sei sempre tu. Tutti i miei sbagli. Ma tu non sai ammazzarmi e ricominciare.”
“Non desidero questo potere.”
“Io ho avuto questo potere.”
“Lo ricordo.”
“Sono stata anche io tutti i tuoi sbagli.”
“No. Io non trovo un rimpianto.”
“Tu non sei capace di rimpianti. Per averne bisognerebbe essere in grado di confrontarsi con se stessi. Tu sfuggi i tuoi occhi allo specchio più di quanto non sfuggi quelli altrui.”
“Il tuo potere te l’ho concesso io.”
“Anche io ti ho concesso di annientarmi. Lo abbiamo fatto reciprocamente.”
“Io non mi sento annientato. Io so di essere forte.”
“Non è forza l’incoscienza di sé.”
“Cosa vuoi dire?”
“No. No, non sarai mai al passo con le mie riflessioni.”
“Forza! Dimmi! Cosa non sono in grado di capire?! Vienimi incontro!”
“Non è cambiato nulla. Basta puntare alle tue mancanze e sottolineare le mie più spiccate attitudini all’introspezione per farti innervosire. E non ce n’è bisogno. Non più. Non abbiamo più sfide aperte io e te.”
“Non mi innervosisco per quello che dici ma per come lo dici! Sei un’arrogante presuntuosa.”
“E questo un tempo era sufficiente.”
“Per cosa?”
“Farmi amare.”
“Le cose cambiano.”
“Già. Sento.”
“Cosa?”
“I cambiamenti.”
“…”
“L’incoscienza di sé è la condizione in cui ti culli da sempre. Quel non volerti porre di fronte a te stesso per capire quali sono le frontiere della tua mente e della tua anima. Quali sono i cancelli che ti separano dal Mondo. L’incoscienza di sé è anche quella condizione per cui non reggi il confronto con gli altri. E’ la ragione per cui fuggi davanti ai problemi che coinvolgono due individualità distinte. E’ la ragione per cui scagli il sasso e ritiri la mano di continuo. E’ la ragione per cui preferisci celare la verità o, peggio, anche se, personalmente, non fa differenza, mentire piuttosto che avere il coraggio delle tue azioni. E’ la ragione che ti conduce nella più assoluta Malafede. Ed è anche la ragione che ti ha posto nella disagevole condizione di modellarti su di me per sentire l’Amore.”
“Non è incoscienza di sé. E’ un modo diverso di vivere.”
“Mettila così se preferisci.”
“Sai solo giudicare! Per te esiste un solo modo di vivere: il tuo!”
“Assolutamente! Non lo auguro a nessuno! Io vivo male. Ma è l’unico modo in cui so vivere.”
“Per te è tutto bianco o nero. Giusto o sbagliato.”
“No. Per me è tutto e il contrario di tutto. Se vivessi di Assoluto vivrei meglio. E’ nell’Indeterminatezza che brancolo invece. Non giudico mai perché non mi ritengo né in grado né degna di farlo. E, sinceramente, non ne ho neanche alcun interesse. Forse è chi punta il dito su di me che lo fa.”
“Allora, se non era un giudizio il tuo, cos’era?”
“Quello sull’incoscienza di te?”
“Sì.”
“Quello era un Giudizio!”
“Ah!”
“Esprimere un giudizio è cosa ben diversa dall’azione di Giudicare nel senso in cui lo intendi tu!”
“Sempre a filosofeggiare sulle parole!E…sentiamo!...Sarebbe?”
“Io ho espresso un giudizio sul tuo modo di comportarti dopo averti concesso diverso tempo per esprimere la tua personalità, ho costruito il mio giudizio su di te dopo lunghe osservazioni. Il mio si potrebbe definire un Kantiano “giudizio sintetico a posteriori” che non ha nulla a che fare con la Morale perché é assolutamente personale e non necessario. E’ solo il frutto di un’intima conoscenza con la tua persona. Senza pretese di Giudizio Morale, che è invece il senso in cui tu intendi l’azione di Giudicare.”
“Il tuo giudizio è sbagliato.”
“In cosa credi che io sbagli?”
“In quello che dici.”
“Sì, questo l’ho intuito dal momento che mi pare difficile che tu possa non condividere un pensiero che non ho ancora espresso.”
“…”
“Sai che questo è la riprova della correttezza del mio Giudizio, invece?”
“Cioè?Cosa?”
“Mi hai detto che ho sbagliato il mio Giudizio. Ti ho chiesto in cosa. Mi hai risposto con la stessa affermazione da cui è partita la mia domanda. Ancora una volta non hai il coraggio di dire. Ancora una volta non hai il coraggio di affrontarmi. Ancora una volta il nostro è un finto confronto. Unidirezionale.”
“…”
“Tutte le volte che non sai a cosa aggrapparti scuoti la testa. Io ho diversi punti fermi nella mia mente, frutto di numerose riflessioni. Se ti confrontassi con te stesso avresti anche tu qualche chiodo puntato sul muro della tua coscienza.”
“Tu sei insopportabile quando fai così.”
“Tu sei tutti i miei sbagli. Ma non sai ammazzarmi e ricominciare. Però hai saputo difendermi e farmi male. Peccato che fossero azioni contemporanee.”
“Io non trovo un rimpianto.”
“Io non li ho neanche cercati.”
“Ma se hai detto all’inizio che…”
“No, io non riesco ad arrendermi a tutti i miei sbagli. Loro sono lì. Ogni giorno. Ma senza rimpianti. Fanno parte di me. Io sono stata anche tanti sbagli. Tu ed io siamo stati una cosa sola. Uno sbaglio.”
“E questo non è un rimpianto?”
“No, questo è un altro Giudizio.”


07 febbraio 2009 0.54

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