domenica 27 dicembre 2009

When the sun goes down...

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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Seduta davanti la tela bianca aspettava di riversarle addosso le sue emozioni vivacemente colorate. In una fresca mattina di Gennaio, sull’enorme terrazzo su cui affacciava il monolocale in cui viveva, le foglie e i petali delle mille piante e fiori che lo riempivano brillavano sotto i raggi del sole. Da quell’altezza dominava tutta la città e questo la faceva sentire potente, in qualche assurdo modo che non si riusciva a spiegare. Quei giardini verdi con deboli accenni di colore li sentiva suoi per il solo fatto di poterli vedere ogni giorno, per il solo fatto che in una stagione vedeva crescere i rami potati o li vedeva ripopolarsi di foglie o fiori o frutti. Chiuse gli occhi e respirò l’aria frizzante che la circondava. Poi si alzò, si diresse verso la porta del terrazzo, sotto la tettoia di legno, accese lo stereo che per ore risuonò nell’aria e in strada la stessa canzone. Tornò a sedersi davanti la tela. Calma e serena prese un pennello nero sottile e lo intinse nella tempera. Aveva lo spirito completamente libero da ogni pensiero ed era schiava solo della sua libertà di pensare e di agire in quel preciso momento.

Entrò nel locale affollato e si guardò intorno: tra le luci fioche vide una gran folla accalcata davanti al bancone che la fece desistere dal desiderio di mandar giù subito un Mojito, continuando ad esplorare l’ambiente, ferma dov’era, notò un gruppo di persone ai tavoli che non aveva alcuna voglia di salutare, intravide qualcuno che ballava nell’altra sala, spalla a spalla, appiccicati, salendo e scendendo sulle gambe, si accorse di una coppia sul divano rosso dall’altra parte del locale che, accesa di passione, sembrava non considerare il resto del mondo attorno e poi, tornando con lo sguardo al bancone, vide lui. I loro sguardi, con gli occhi quasi dello stesso colore, non si incrociavano da tantissimo tempo. Non si sorrisero. Si diressero l’uno verso l’altro. Senza emozioni. La canzone che suonava in quel momento aveva spazzato via tutti i suoi pensieri e per il resto della serata fu l’unica che sentì, nonostante ne fossero passate molte altre. Si salutarono. Parlarono, ma non lo fecero seriamente. Fu uno scambio di parole piuttosto, sarebbero potute anche essere parole a caso, il senso di quello scambio verbale sarebbe stato il medesimo. Si diressero al bancone e, aspettando di ordinare, continuarono ancora quello scambio di frasi dette e non dette, quello scambio di idee da censurare,reinventare ed esprimere in quella nuova definitiva forma, quello scambio di parole che mascherano intenzioni diverse e di quelle parole trattenute che non ne espongono altre palesi, quello scambio di domande a cui l’altro, volutamente, non rispondeva se non con una domanda completamente diversa. Agguantati i bicchieri si spostarono ai tavoli. Scelsero uno di quei tavoli con i comodi divanetti rossi dal particolare design, come un’onda morbida capace di inghiottire e cullare i suoi ospiti. In un angolo, vicino una lampada con il paralume a punta lucido e rosso, il colore dominante in tutto il locale. Difficile definire di cosa parlarono, difficile dire con certezza anche se parlarono, tralasciando quel loro inutile scambio di parole. In ogni caso quello che succedeva doveva in qualche modo divertirli e li metteva a loro agio. Lui giocava coi suoi capelli e lei stendeva le gambe sulle sue. Fu l’alcol, furono le risate, forse, si guardarono. A tratti studiandosi, a tratti indifferentemente. In ogni caso con uno scopo.
E lei lo guardò di nuovo, questa volta sollevando il sopracciglio sinistro ed ammiccando con un sorriso a labbra serrate che seguiva la stessa linea di quell’arco che le incorniciava lo sguardo. Lo guardò dall’alto della posizione di potere che le aveva, momentaneamente, permesso di assumere quell’innocente gioco perverso che avevano iniziato nel pieno della notte mentre lui faceva scivolare le mani sui suoi fianchi. Ed intanto la stanza continuava a riempirsi di quella stessa musica.
Fu presto mattina, in testa ancora quella canzone, svegliata dal sole penetrato attraverso le tende. Aveva voglia di dipingere.


28 Gennaio 2009 22.51

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