mercoledì 30 dicembre 2009

Cyrano...?

La musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato."
L. Tolstoj

"Dove le parole finiscono, inizia la musica."
Heinrich Heine



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“Amai senza peccato, amai ma ero triste.
Quella mattina il sole brillava alto in cielo ed io mi stesi sui sottili fili d’erba perso nei miei ultimi pensieri leggeri e fluttuanti, con la sigaretta che veloce bruciava nella mano sinistra, accarezzandola.
Le scrissi un’ultima poesia su una ruvida carta di riso bianca. Le raccontai del mistero e della dolcezza dei suoi occhi, del suo sorriso seducente, delle sue labbra di rosa sempre lucide, della sua anima profonda e del suo essere inafferrabile. La lasciai dove avrebbe potuto trovarla, in una scatola con un nastro rosso. Poi mi avviai verso quel luogo, verso l’inesorabile fine.
Su di me il cielo immenso ed azzurro, libero. Sulla mia pelle il vento fresco. Nel mio cuore la leggerezza. Attorno gli slanciati cipressi e tutti quanti avrei raggiunto ben presto.
Nella destra stringevo una sinuosa ampollina, poggiandola sul cuore. Aspettai. Attesi scaldato dai raggi del sole mentre i miei occhi erano persi nell’infinito di quell’azzurro senza nuvole. Sorridendo ad ogni sua impalpabile immagine. Godendo di ogni istante passato al suo fianco.
La testa incominciò a girare leggermente. Il cuore a battere freneticamente. Gli occhi volevano chiudersi ma non lo permisi, di quel mondo volevo assaporare ancora i colori. Di quel mondo inspirai ancora gli odori di terra e di erba bagnata, dei fiori che mi circondavano.
Poi fu come fluttuare tra due mondi, su un incerto confine, come altalenare su un sottile filo sospeso sull’infinito. Un brivido gelido attraversò il mio corpo. Sentii tremare le mani, le gambe, i piedi, persino i denti. Avvertii l’incapacità del movimento e della parola. Una sensazione di profondo vuoto mi invase ma non fu sufficiente a costringermi ad arrendermi a coprire i miei specchi sul mondo. Forse solo per un secondo cedetti stanco per quell’enorme sforzo. Ma non vidi più il suo volto e così riaprii gli occhi per poterli fissare ancora nei suoi che mi guardavano dall’alto di quel soffitto limpido, cambiando continuamente il loro colore con le mille sfumature della luce intensa. Il vento spirò più forte e udii un tintinnio conosciuto a cui ho spesso affidato la mia anima tormentata per quietarla.
Non sentii più nulla. Sparirono gli odori. Sparì il dolore. Sparirono i colori. Sparirono i suoni. Si dissolse la tristezza, confluendo in un sentimento d’infinito in cui non si distinguevano più le emozioni umane. Mi parve di aver raggiunto un livello superiore, una sorta di pienezza celestiale mi rapì nel buio di una notte che sapevo senza fine.
Tagliai da solo il mio filo perché non trovavo ragione di continuare a tesserlo se, com’era, mi fosse preclusa la possibilità di intrecciarlo col suo. Nel mio cuore e nella mia mente ritrovavo un lungo e variopinto filo intrecciato di gioie e dolori che non ero disposto a veder scolorire nel grigiume della mia ombra solitaria.”


“…” E passò oltre.

17 marzo 12.09

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